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di Sud

Per la cronaca (ma ormai si può parlare di storia), Enrico Fenzi è un ex brigatista della colonna genovese, arrestato nel 1981 con Mario Moretti (l’organizzatore ed esecutore del sequestro e dell’omicidio di Moro), condannato a 18 anni per diverse complicità in attentati, dissociatosi dalla lotta armata nel 1982. Ma Fenzi è stato anche, prima, durante e dopo l’esperienza terroristica, uno dei più valenti studiosi di Dante e Petrarca. E lo è tuttora.
Ha curato i commenti del Convivio (in clandestinità) e del De vulgari eloquentia di Dante, quelli del Secretum, del Canzoniere, del De sui ipsius et multorum ignorantia, del De remediis utriusque fortunae di Petrarca. Autore di importanti monografie, Fenzi ha preferito spesso la misura del saggio lungo. Tra questi ce n’è uno che, dovendo parlare dell’importanza del cibo in Petrarca, non si può ignorare.
Il titolo del saggio, uscito nel 2006 per una rivista catalana, è tutto un programma: Etica, estetica e politica del cibo in Petrarca. L’uso (quasi crociano) delle tre categorie non è una forzatura o una boutade, ma il frutto di un’analisi serrata dell’opera petrarchesca. L’atto del cibarsi, per Petrarca, è il risultato di una scelta culturale e quasi filosofica: tra lusso e frugalità, tra sporcizia e pulizia, tra corruzione e virtù, tra barbarie e civiltà.
Qual era dunque la dieta di Petrarca? Non quella dei «ghiottoni mollicci, ansimanti, tremuli, puzzolenti», piuttosto una dieta “moderna”, che «rende gli uomini magri, efficienti e di bell’aspetto». Frutta e ortaggi in gran quantità, poca carne, i cui resti dopo il banchetto «fanno sembrare la sala da pranzo quella di un carnefice», qualche pesce di fiume, uova e formaggi, pane contadino «che ha il colore della terra». E da bere? Ovviamente «chiare, fresche e dolci acque».