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Il consigliere civico di opposizione Fabrizio Croce ci ha inviato un argomentato articolo dove vengono messe a fuoco le inadempienze della giunta Romizi. Lo pubblichiamo volentieri.

di Fabrizio Croce

Quando si è in tempi di elezioni è difficile distinguere tra vera progettualità e propaganda, tra visione ed illusione, tra realtà e finzione. Il sindaco uscente ha auspicato che durante questa campagna elettorale non si ritorni ai tempi in cui la priorità della politica era semplicemente quella di “delineare nel volto dell’altro il demone da combattere”. Giusto e condivisibile, ma la stagione che stiamo vivendo a Perugia si sta arricchendo di “annunciazioni” per voce di chi è stato chiamato a prenderne le consegne (e che nell’ultima legislatura è stata Assessore in ruoli chiave, se proprio vogliamo parlare di “visione” e strategie”) che saprebbero di sana progettualità, se non odorassero di propaganda e svelerebbero una visione illuminata e a lungo raggio, se non celassero l’illusione di qualcosa che si è già detto e sentito dire come minimo 5 anni fa, di questi stessi tempi. Pochi giorni fa è stato presentato il “documento strategico territoriale del Comune di Perugia”, uno strumento ritenuto fondamentale per delineare il futuro di città, all’interno del quale emergono gli obiettivi di mandato proposti da chi vorrebbe proseguire nella linea politica intrapresa negli ultimi 10 anni.
Senza voler demonizzare nessuno, allora, si può provare a confrontare gli orizzonti, i programmi, i concetti utilizzati in questo arco di tempo, con gli obiettivi annunciati per quello che si aprirà da Giugno in poi per dire che qui si stanno mettendo i presupposti per assistere all’ennesima pantomima di una politica che mette in scena una finzione, non avendo saputo mantenere molti degli impegni presi. Una pantomima in 4 atti.

1) Si ambisce ad essere “una città resiliente e sempre più green – per una transizione ecologica paesaggisticamente orientata – da guidare con politiche innovative di mobilità sostenibile e di contenimento energetico incentrate sulla rigenerazione urbana di
quartieri sempre più votati all’ecologia e al rispetto dell’ambiente”. Eppure già nei programmi presentati rispettivamente nel 2014 e nel 2019 si ponevano come obiettivi di mandato lo stop al consumo del suolo, privilegiando il recupero dell’esistente e disegnando quartieri sempre più votati al rispetto per l’ambiente, l’aumento della raccolta differenziata e l’introduzione della “tariffa puntuale” sui rifiuti, una mobilità più sostenibile attraverso la riduzione del traffico veicolare – e, dunque, dell’inquinamento – a vantaggio di quello “dolce” ed il potenziamento del trasporto pubblico.
A tale proposito merita solo ricordare alcuni dati significativi che parrebbero contraddire questo scenario: la nostra città è definita ancora oggi da un Piano Regolatore Generale vigente dal 2002 e concentrandoci agli ultimi 10 anni chi ne governava il territorio ha fatto ricorso a quasi 100 “varianti” e ad innumerevoli “ampliamenti”, spesso e volentieri null’altro che escamotage tecnici per aggirare ostacoli burocratici e vincoli, sveltire procedure, mortificare contesti e paesaggi.
Queste pratiche inveterate ci hanno lasciato in eredità, ad esempio, un nuovo supermercato in Via Palermo, dove sorgeva l’antico mattatoio cittadino ideato dall’architetto papale Ersoch, ed uno a Pian di Massiano, che doveva essere l’isola verde dedicata al benessere ricreativo ed allo sport; un casermone di edilizia residenziale dove sorgeva il tabacchificio progettato dall’architetto Nervi ed un fast-food a forma di M sul limite del bordo esondabile del Tevere, a Ponte San Giovanni; una scuola gemella dell’Istituto Capitini a Centova e villette bifamiliari in un’uliveto a San Marco; un centro civico al centro di un piazzale circondato di volumetrie vuote a Ponte San Giovanni ed uno al centro di un’area verde a Madonna Alta, entrambi a pochi passi da decrepiti CVA polivalenti costruiti nei rispettivi quartieri. E, a breve, con la stessa logica, sorgeranno un nuovo supermercato in Via Corcianese al limite del confine con il Comune di Corciano ed una palestra per attività agonistiche nel cuore dell’area verde di Balanzano.
Ancora a tale proposito: la raccolta differenziata non è ancora stata strutturata nei tre quartieri cittadini più popolosi, Ponte San Giovanni, San Sisto e Castel del piano, lo scarico illegale cresce in misura esponenziale inversa alla promozione del riuso e dell’allungamento del ciclo di vita degli oggetti e la tariffa puntuale … è in grave ritardo.
Infine, quando si parla di mobilità sostenibile ricordiamo che Perugia è cronicamente prima nella classifica poco onorevole di città con rapporto più alto tra numero di veicoli ed abitanti, che il suo sistema di trasporto pubblico è così disallineato ai flussi ed alle esigenze minimali dei suoi utenti da risultare tra i meno efficaci della penisola e che il Piano di cui pure si è dotata da 5 anni è in larga parte disatteso.
Inoltre si affida alla messa in funzione di un mezzo su gomma, il BRT, per fortuna elettrico ma lungo 18 metri lineari e costoso quanto 1/5 dell’intero bilancio consolidato del Comune, la soluzione dei problemi di ingolfamento di due delle arterie più caotiche della regione (Settevalli e Pievaiola), trascurando la provata inefficacia del sistema, inventato 40 anni fa per le aree metropolitane e strade molto larghe, in condizioni di promiscuità con il traffico veicolare. Anche la resilienza ha un limite.

2) Si ambisce ad essere “città dell’accessibilità multi-scalare, internazionale e di prossimità, ovvero a rafforzare la rete delle infrastrutture e delle connessioni su scala locale, territoriale e globale”, ma in realtà sono anni che inseguiamo gli standard nazionali ed internazionali senza mai nemmeno avvicinarli.
Siamo d’accordo nel sostenere che il diritto alla mobilità interna delle persone dovrebbe passare anche attraverso marciapiedi curati, strisce pedonali visibili, abbattimento delle barriere architettoniche, stazioni e parcheggi che favoriscano lo scambio e l’inter-modalità, strumenti di “urbanismo tattico”e assennato che consentano loro di riappropriarsi dello spazio e della vita pubblici.
Allora non basta calare su un territorio tracciati ciclabili o pedonali se non li si mette in rete tra loro.
Non basta ridipingere i treni per fare una metropolitana di superficie, ma bisogna occuparsi anche degli attraversamenti a raso ancora esistenti e dell’efficientamento di tutta la linea secondo nuove logiche che possano soddisfare pendolarismo, turismo e, soprattutto, la mobilità interna.
Insomma l’accessibilità a cui si guarda si dovrà misurare su altri parametri e fondare su strumenti che nessuna persona di buon senso può sperare escano dal cilindro del “gemello digitale”, troppo spesso invocato a vestire i panni del super-eroe.

3) Si ambisce a diventare “città di un’economia multidimensionale, sostenibile ed attrattiva, ovvero a soddisfare la necessità di rafforzare le condizioni urbanistiche, sociali e imprenditoriali per dare forza all’identità economica e spaziale di Perugia, riconducibile al rapporto sinergico tra le risorse del territorio e le filiere economiche legate all’agricoltura di qualità, alla cultura e ai diversi turismi”.
Se davvero si voleva sostenere l’agricoltura di qualità non si sarebbe autorizzata l’invasione di supermercati come “ultracorpi” che si insinuano nel territorio uccidendo il commercio di prossimità ed i piccoli produttori sfruttati dalla “grande distribuzione
organizzata”; e non si sarebbe persa l’occasione di ricreare un grande “mercato coperto” cittadino, vetrina delle specificità agro-alimentari, lasciandolo invece languire per dieci anni in attesa del salvatore, “dolce e gustoso” come il cioccolato.
Se davvero si voleva salvaguardare e valorizzare lo straordinario patrimonio di beni culturali e ambientali si sarebbe dotata la città di un ufficio informazioni moderno e facilmente accessibile, di una segnaletica turistica “smart” e capillarmente distribuita
attorno ai numerosi attrattori del territorio, dei minimi sindacali in termini di decoro ed accoglienza (a cominciare dai bagni pubblici), di una “card” e di una serie di convenzioni con i luoghi museali e della ricettività (tanto più se privati e frammentati come sono) da offrire ai visitatori.
Se davvero si voleva garantire la produzione culturale densa e diversificata ci si sarebbe impegnati a testa bassa ed antenne accese per riqualificare i vari contenitori culturali pubblici ancora cronicamente in attesa di un progetto di rigenerazione prima ancora che della fine degli eterni cantieri (come Pavone, Turrenetta e Turreno che da 10 anni sono puntualmente richiamati nei proclami elettorali); ci si sarebbe impegnati per metterli a disposizione di una rete di piccoli e grandi operatori privati – molti di loro privati anche di uno spazio fisico dove operare – e in dialogo con le grandi istituzioni culturali che altrimenti non avranno più vivai cui attingere e idee cui fare da incubatore.
Se davvero si voleva produrre crescita e vera rigenerazione anche attraverso la valorizzazione del ruolo della formazione universitaria e della ricerca, bisognava avere il coraggio di migliorare gli standard di accoglienza degli studenti, costretti a cercare asilo in luoghi sempre più lontani dalle sedi di studio, a fare i conti con trasporti e servizi carenti, ed a rafforzare il coinvolgimento delle loro facoltà e dei loro laboratori nei tanti progetti attivati negli ultimi anni per “elaborare” un’idea della città che li ospita.

4) Si ambisce a “diventare città rigenerata, abitabile, accogliente e sicura, ovvero a concretizzare un processo di lunga durata di rigenerazione urbana ed ecologico- ambientale della città esistente, nel rispetto delle diverse identità stratificate nel territorio,
da tradurre nell’obiettivo congiunto di non consumare più suolo e di rigenerare i tessuti e la rete degli spazi aperti esistenti, semplificando e razionalizzando i percorsi procedurali, normativi e gestionali”.
E questo processo, che dovrebbe prevedere anche il rafforzamento dei percorsi di partecipazione e condivisione con i cittadini delle scelte, lo attiviamo a tre mesi dalle elezioni ripetendo come un mantra tutte le linee guida che hanno ispirato i mandati ricevuti rispettivamente nel 2014 e nel 2019?
Come si può parlare di rivitalizzazione e recupero, quando non si è fatto altro che costruire, ampliare, asfaltare con quel impattante catrame nero qualunque spazio? Come si può parlare di abitabilità come obiettivo quando si continua ad autorizzare il
cambio di destinazione ad uso residenziale per fondi nati per ospitare negozi, uffici, botteghe artigiane ai piani terra, si fanno crescere interi quartieri quasi del tutto privi di infrastrutture e servizi (chiedere a Castel del piano) o circondati di arterie stradali a scorrimento veloce (come le “Corti perugine” sorte sui ruderi dell’ex-tabacchificio di Via Cortonese)?
Come si può parlare di accoglienza, quando non siamo in grado di far uscire dalla stazione di Fontivegge un viaggiatore con difficoltà di deambulazione che è sceso al binario 2; di indicare i principali attrattori turistici con una segnaletica semplice ed efficace; di fornire ad un viandante un bagno pubblico a tutte le ore; di dare le informazioni basilari ad un utente del trasporto pubblico in attesa alla fermata che casualmente abbia dimenticato a casa il cellulare o non abbia abbastanza connessione; oppure di offrire un servizio senza previo appuntamento ad un cittadino che si rechi ad un qualunque sportello comunale?
Come si può, infine, parlare di sicurezza, quando prima ancora che da criminali a spasso per le vie un cittadino deve guardarsi da buche insidiose, aggirare ingombranti cassonetti o automobili parcheggiate selvaggiamente lungo i marciapiedi sconnessi? Oppure deve stare attento a schivare rami o tronchi di alberi poco curati o mantenuti che piovono dall’alto o tabelloni elettorali abbandonati per anni su aiuole o lungo i marciapiedi e divelti dalle intemperie; o ancora deve percorrere interi tratti di strade senza marciapiedi, illuminazione, dissuasori di velocità per le auto che sfrecciano indisturbate nel silenzio della notte?

In definitiva la vera strategia sembra quella di promettere oggi che farai domani quello che potevi fare ieri. E’ tutto molto bello, certo: le parole spesso sanno essere seducenti, soprattutto se rafforzate da una disponibilità di risorse economiche, rafforzata dai recenti proclami per il futuro riguardanti l’Umbria da parte della Presidente del Consiglio, di cui la città non ha mai goduto nel passato. E’ altrettanto indubbio, però, che, escluse le risorse che dovranno arrivare, se davvero arriveranno, i finanziamenti ed il supporto di cui l’amministrazione cittadina ha goduto negli ultimi dieci anni non paiono essere stati determinanti né nel realizzare nei fatti le linee programmatiche di mandato del 2014 e del 2019, né nel consegnare ai perugini la città ideale in cui avrebbero voluto e vorrebbero vivere.
Questi dieci anni trascorsi ad oggi non hanno restituito loro una reale partecipazione ai processi dinamici della città, una effettiva rigenerazione di aree degradate beneficiate di ingenti investimenti (andare a Fontivegge per credere), il pieno esercizio dei propri diritti – all’abitare, al muoversi in sicurezza, allo studio, ad avere opportunità di lavoro, ma, soprattutto, a curarsi ed al proprio benessere fisico e psichico. In altre parole, non hanno dato alla città un’anima di cui andare orgogliosa e un’immagine
in cui specchiarsi.