di Gabriella Mecucci
L’antisemitismo sembra in alcuni momenti acquietarsi per poi riaffiorare prepotentemente. Ora stiamo vivendo un periodo in cui sta dilagando, come dimostrano i cortei propal, o meglio, parte di essi. Sarebbe infatti errato, oltrechè controproducente, definire antisemita tutto ciò che suona come critica radicale ad Israele o al sionismo. Occorre riconoscere che dietro questi giudizi talora si cela anche l’antisemitismo, ma non sempre è così. Il 27 gennaio è il giorno della memoria e tutti sembrano concordi nella condanna della Shoah con parole durissime, ma più d’uno, subito dopo, riprende a dimenticare o a fare paragoni inaccettabili e comunque inappropriati. C’è poco da stupirsi del resto, per anni e anni quell’immane tragedia non è stata riconosciuta. E’ stata coperta da uno spesso e colpevole silenzio.
PER DIBBA&ALBANESE, ISRAELE PEGGIO DEI NAZISTI
Quali sono stati i momenti in cui si è verificata una svolta nella presa di coscienza dell’opinione pubblica dell’orrore della Shoah? Come e quando il tema si è imposto? Quali gli ostacoli che ha trovato e quali i gesti, i libri, i film, le inchieste giornalistiche, le ficton che l’hanno fatto conoscere ai più? Fondamentale e prioritario è stato prima di tutto l’impegno incessante dei superstiti che hanno testimoniato per tutta la vita gli orrori che avevano vissuto. Sono stati loro i media più importanti. Fra questi non si può non ricordare quanto ha fatto Liliana Segre, senatrice a vita del Parlamento italiano.
Ma vediamo ora i punti di svolta sapendo che tuttora esiste il negazionismo e il riduzionismo sia nel mondo degli storici che in quello della politica che più in generale nell’opinione pubblica.
Coltre di silenzio
Dopo la fine della seconda guerra mondiale per anni e anni la Shoah è rimasta coperta da una spessa coltre di silenzi. Il primo paese che ne ha cominciato a parlare e che ha prodotto i primi grandi saggi storici è stato gli Stati Uniti. Ma anche lì l’affermarsi di questa tematica ha inizialmente faticato, e molto. Basti ricordare un episodio che ha raccontato uno dei più grandi storici della Shoah, Raul Hilberg. Quando Hilberg, allora giovane ricercatore, propose al suo maestro alla Columbia University di portare avanti uno studio sullo “sterminio degli ebrei in Europa”, questi gli rispose: “Lo sterminio degli ebrei non interessa il mondo degli storici né tantomeno l’opinione pubblica”. Questo accadeva nel 1948 negli Usa, nel paese che ha mostrato una maggiore sensibilità sull’argomento anche perchè moltissimi ebrei che dovettero fuggire dall’Europa si erano rifugiati lì. E fra questi c’erano grandi intellettuali e grandi scienziati, gente quindi in grado di influenzare l’opinione pubblica.
Processo Eichemann
In Germania sino alla fine degli anni Cinquanta ci fu un silenzio pressoché assoluto. Il velo cominciò a squarciarsi con il processo Eichmann e il processo di Francoforte ai responsabili di Auschwitz. Il processo Eichmann (1961), che riguardava un ufficiale delle Ss fra i massimi responsabili operativi della Shoah, ebbe un impatto straordinario sull’opinione pubblica di tutto il mondo, anche grazie al celebre reportage di Annah Arendt per il New Yorker dal titolo La banalità del Male che aprì una discussione interna allo stesso mondo ebraico. Eichmann sosteneva a sua difesa di essersi limitato ad eseguire gli ordini: di non aver fatto niente di più né niente di meno. Questa tesi dell’esecuzione degli ordini venne smontata durante il processo da alcuni testimoni. E ci fu la condanna a morte.
Il processo Eichmann insieme a quello di Francoforte creò finalmente una forte attenzione nel mondo della ricerca, dell’informazione, dell’opinione pubblica tedesca. Con Eichmann ci fu un primo grande passo verso la coscienza collettiva dell’immane tragedia della Shoah. Grazie alla Arendt si aprì un dibattito sul come e sul perchè dello sterminio. Sull’essenza stessa del male assoluto. Da allora la stampa iniziò a fare le prime grandi inchieste sull’argomento e ospitò le prime discussioni. Poi entreranno in funzione altri strumenti di comunicazione di massa che avranno una straordinaria importanza: il cinema e la televisione. Per la verità il cinema e anche in parte la tv avevano iniziato a produrre pellicole e interventi già da molto prima, ma niente aveva avuto un impatto decisivo sull’opinione pubblica, anche se alcune pellicole come Lo straniero di Orson Welles (1948) e Notte e Nebbia di Resnais (1955) erano di grande qualità. Un primo riscontro importante lo ebbe l’intervista ad un sopravvissuto realizzata dalla Tv americana nel 1953. Il periodo del silenzio o più correttamente del semi silenzio meriterebbe un’analisi più approfondita per identificarne le ragioni.
Brandt in ginocchio
Ma torniamo più specificamente alla Germania. L’apertura della nuova fase legata al processo Eichmann si allargò grazie al movimento del ’68 e grazie al gesto del cancelliere tedesco Willy Brandt. Il leader socialdemocratico, allora in visita in Polonia, si recò all’ingresso del ghetto di Varsavia e si inginocchiò davanti al monumento ai resistenti del ghetto. Gli ebrei di Varsavia erano insorti contro i nazisti. Ci fu una strage, molti di loro vennero massacrati dalle Ss. Che un capo del governo tedesco, allora della Germania dell’Ovest (la riunificazione era ancora lontana), compisse quel gesto, ebbe un peso straordinario sull’opinione pubblica del mondo e in particolare su quella tedesca. Il Cancelliere Brandt riconosceva e prendeva sulle sue spalle e su quelle dei tedeschi la responsabilità dell’orrore della Shoah. Era il dicembre del 1970. Una seconda importante svolta
Hitler e la burocrazia
Negli anni Ottanta venne finalmente tradotto in Germania il libro di Hilberg e in quel periodo iniziò in quel paes, come altrove, un grande dibattito fra intenzionalisti e funzionalisti. I primi sostenevano che lo sterminio era un progetto di Hitler sin dall’inizio. I funzionalisti invece ritenevano che la Shoah fosse iniziata invece a livello delle burocrazia medio-alta, la quale ritenne di risolvere così’ i problemi posti da Hitler. I funzionalisti non negavano le responsabilità del fuhrer: il suo antisemitismo, il suo aver coperto e facilitato lo sterminio, negavano però una sua “progettualità compiuta”.
Nulla a che vedere dunque coi negazionisti alla Irving e alla Faurisson che non riconoscevano l’olocausto. Una corrente storiografica questa condannata dalla quasi totalità degli studiosi e da larga parte dell’opinione pubblica, che non ha mancato però di fornire argomenti ai molti gruppi antisemiti che esistevano e che non hanno mai cessato di avere una presenza ed una forza in tutto il mondo.
In questa breve rassegna non si può non citare per il peso che ha avuto in Germania e in tutto il mondo, la posizione dello storico tedesco Ernst Nolte che scrisse Il passato che non passa. La tesi di Nolte è che il nazismo sia una reazione al bolscevismo, secondo Hitler strettamente legato all’ebraismo: “ il suo antisemitismo – scrive Nolte – non può essere separato dall’antimarxismo e dall’antibolscevismo”.
Nolte non sottovaluta la Shoah, ma tende a spostarne le radici e le ragioni. In Hitler infatti l’odio irriducibile contro gli ebrei è un tutt’uno con quello contro il comunismo che questi vorrebbero introdurre in Germania. Non posso accennare per ragioni di brevità all’impatto e alle risposte talora molto severe che questa tesi provocò. Divampò una polemica durata anni e anni contro il revisionismo. Polemica che tutt’ora è presente nella storiografia.
In Germania la ricerca e la discussione hanno fatto comunque importanti passi avanti, anche se oggi l’antisemitismo sta riaffiorando in una forza di estrema destra e in certo estremismo di sinistra.
In Italia nel dopoguerra cvi fu un lungo periodo di semi silenzio. Uno dei libri più belli scritti sulla Shoah, Se questo è un uomo di Primo Levi venne pubblicato solo nel 1958 da Einaudi che per ben 2 volte, negli anni precedenti, lo aveva rispedito al mittente. Levi lo aveva proposto per la prima volta nel 1947 ricevendo una risposta negativa. Occorre segnalare che Einaudi era l’editore che aveva pubblicato nel 1954 Il diario di Anna Frank, con una prefazione di Natalia Ginzburg, il che certifica che era un editore attento alla tematica della Shoah. Solo nel 1958 però disse un sì a Primo Levi. Eravamo a ridosso degli anni Sessanta che segnarono una svolta.
Un punto rilevante del dibattito storiografico è rappresentato nel nostro paese dalla prima grande ricostruzione contenuta nel libro di Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo. La ricerca era stata commissionata allo storico dalle Comunità ebraiche e uscì per Einaudi. De Felice sosteneva che in Italia l’antisemitismo era stato importato dalla Germania, che le leggi razziali, volute da Mussolini, ci furono in concomitanza con l’accordo italo-tedesco. Le Comunità ebraiche – proseguiva De Felice – manifestarono fenomeni di consenso al regime, e il razzismo fascista fu diverso da quello nazista in quanto “non biologico”. De Felice non solo non negava la persecuzione ma la raccontava puntualmente. Ne spostava però le origini, le matrici altrove. Il libro ebbe un notevole impatto culturale, provocò un’accesa discussione e anche numerose polemiche nei confronti di De Felice.
Un momento di svolta molto importante – il più importante di un intero periodo – nell’opinione pubblica fu rappresentato dal Concilio Vaticano secondo, indetto da Giovanni XXIII, che terminò con un documento la cui pubblicazione avvenne nel 1965 quando era già Papa Paolo sesto. La dichiarazione dal titolo Nostra aetate riguardava il rapporto fra la Chiesa cattolica e le religioni non cristiane. All’interno conteneva il Decretum de Iudeis che toglieva ogni legittimazione teologica all’antisemitismo. Questa presa di posizione fu decisiva nell’orientamento dell’opinione pubblica italiana e di tutto il mondo.
La scelta del Vaticano secondo fu molto importante anche perchè una parte della storiografia aveva criticato la Chiesa per quelli che erano stati definiti i “silenzi” di Pio XII. Nessuno ha mai negato che molti ebrei trovarono rifugio nei conventi, nelle parrocchie, nei tanti luoghi del cattolicesimo esistenti in Italia: vennero accolti e fu salvata loro la vita. E questa è la pura verità. Su Papa Pacelli però vennero concentrate molte e severe critiche. Era diffusa l’opinione che avrebbe dovuto fare di più, condannando esplicitamente la Shoah. La storiografia cattolica replicava che una simile scelta avrebbe potuto provocare l’estendersi della persecuzione anche ai cattolici tedeschi. Una diatriba questa ancora in corso.
Non si può fare a meno infine di segnalare due importanti gesti compiuti da due Papi molto più vicini a noi. Il primo è quello che fece Giovanni Paolo secondo che nel 1986 andò alla Sinagoga di Roma, primo pontefice ad entrare nel luogo sacro dell’ebraismo. Il secondo fu lo splendido intervento di Benedetto sedicesimo ad Auschwitz che si recò lì non solo come capo della Chiesa cattolica, ma anche come tedesco, cosa che lui stesso nel suo discorso volle sottolineare.
Italiani brava gente
Nel nostro paese la presa di coscienza sulle responsabilità italiane nella Shoah, è stato ostacolato dalla mitologia degli italiani brava gente. La mitologia cioè de Il cattivo tedesco e il bravo italiano. Questo è anche il titolo di un bel saggio di Filippo Focardi che la mette in discussione e dimostra che anche gli italiani ne hanno combinate di terribili. C’è stata nel recente passato, a questo proposito, una puntuale dichiarazione del Presidente Mattarella di chirurgica chiarezza: “Sul territorio nazionale – diceva il Presidente – il regime non fece costruire camere a gas e forni crematori. Ma il governo di Salò collaborò attivamente alla cattura degli ebrei che si trovavano in Italia e alla loro deportazione verso l’annientamento. Le misure preventive, la schedatura, la concentrazione nei campi di lavoro favorirono enormemente l’ignobile lavoro dei carnefici delle Ss. Le leggi razziali ideate e scritte da Mussolini trovarono a tutti i livelli della politica, della cultura, della società italiana complicità, turpi connivenze, indifferenza”. No, non siamo stati brava gente.
Quando in Italia nel 1997 viene istituita con apposita legge la Giornata della Memoria, ci fu una discussione sulla data: alla fine prevalse quella del 27 gennaio, giorno in cui l’Armata Rossa entrò ad Auschwitz e scoprì l’immane tragedia che lì si era consumata. Furio Colombo, firmatario del provvedimento, propose un’altra data, quella del 23 ottobre quando, nel 1943, ci fu il rastrellamento nel ghetto di Roma, realizzato grazie alla complicità e alla connivenza dei fascisti italiani. Vennero presi allora e mandati ai campi di sterminio più di 1000 ebrei, ne tornarono 16 (15 uomini e una donna). Colombo insistette per questa data allo scopo di sottolineare e di non dimenticare mai anche le responsabilità italiane.
Siamo così arrivati ai giorni nostri. E, per concludere questa carrellata breve e quindi incompleta, non si possono non citare altri due momenti importanti della comunicazione. Due film super premiati e che hanno segnato l’opinione pubblica: Schindler list di Spielberg e La vita è bella di Benigni. Quest’ultimo, ha trovato anche molti critici. Schindler list fa transitare all’interno dell’opinione pubblica la tesi che anche uomini vicini al nazismo e al fascismo hanno salvato migliaia di ebrei. Persino fra loro ci sono stati dei “buoni”, dei “giusti”. Ma c’è un corollario a questa affermazione che suona come dura accusa contro l’indifferenza: il film dimostra infatti che chi lo voleva poteva fare qualcosa per salvare gli ebrei, non è vero che non si poteva fare niente. Sulla linea di Schindler si colloca anche la ficton italiana su Perlasca, un uomo che aderiva al fascismo e che salvò però migliaia di ebrei. Il titolo dell’inchiesta giornalistica di Enrico Deaglio che lo riguardava e da cui fu tratta la ficton è non a caso La banalità del bene.
In conclusione non si possono non citare i numerosi libri di memorie dei superstiti e i tanti musei e memoriali della Shoah che fioriscono un po’ ovunque e che hanno avuto una grande capacità di divulgazione. Il primo, lo Yad Vashem di Gerusalemme è del 1953, poi la grande proliferazione negli anni Novanta: da Washington a Berlino.
Nessuno meglio di Primo Levi nei versi iniziali di Se questo è un uomo ha spiegato in modo toccante che cosa sia stata la Shoah e il valore della memoria
Voi che siete sicuri
Nelle vostre tiepide case
Voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che muore per un sì e per un no.
Considerate se questa è una donna
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno
Meditate che questo è stato