di Gabriella Mecucci
Che sta accadendo ad Umbria Jazz? Sembrava che dopo il biennio del Covid, la ripresa fosse cosa fatta. I risultati sono andati infatti oltre ogni rosea previsione: 27 mila biglietti e incassi sopra il milione di euro. Eppure, appena chiusi i battenti, è iniziata la polemica. Cosa c’è dietro il dichiarato disappunto del direttore artistico Carlo Pagnotta? Cosa significa il suo “su Umbria Jazz regna un clima che non mi piace”. Il diretto interessato non ha spiegato il significato di questa sua affermazione e non sarebbe giusto dunque attribuirgli valutazioni che non ha espresso. Ma i fatti sono sotto gli occhi di tutti e basta ricostruirli per fare ipotesi realistiche su ciò che non funziona.
Cambiare asse culturale?
Ormai da tempo all’interno della Regione – e l’assessore Fioroni ne sarebbe il più convinto sostenitore – si è fatta strada l’idea che sia opportuno cambiare l’asse portante della manifestazione, e che la si debba trasformare in un festival rock, perchè è la musica che oggi “tira” di più. Per realizzare questo progetto Carlo Pagnotta verrebbe affiancato dal giovane Aimone Romizi, organizzatore de “L’Umbria che spacca” e chitarrista della Fast Animals And Slow Kids. C’è chi attribuisce l’origine delle polemiche al fatto che l’attuale direttore artistico non vedrebbe di buon occhio il cosiddetto “affiancamento”. Probabilmente però la ragione è più profonda: ciò che è in gioco è infatti la natura stessa di Umbria Jazz che potrebbe cambiare pelle e diventare un festival rock. Una Umbria Jazz senza il Jazz. O quasi.
Nessuno nega che la kermesse debba incamerare generi musicali diversi. E del resto lo ha già fatto, inserendo da tempo nel suo cartellone numerosi concerti pop/rock di grande qualità. Questa formula ha ottenuto grandissimi successi sia nel 2018 (35mila biglietti) sia nel 2019, anno del record assoluto con 40mila biglietti, sia nell’eccellente ripresa del 2022 per la quale si scommetteva su un massimo di 22, 5mila biglietti e si è invece toccato il tetto dei 27mila. E per la prossima edizione, quella del cinquantenario, è già stato contattato Bob Dylan, musicista senza limiti, capace di muoversi trasversalmente dal folk/rock al jazz.
Il problema dunque non è quello di “aprire” il cartellone di UJ, ma il rischio di un suo totale snaturamento culturale. La scelta fatta nel lontano 1973 fu particolarmente felice e dotò l’Umbria di una kermesse musicale raffinata e originale che oggi ha alle spalle una grande storia dalla quale ripartire per costruire il futuro.
Il brand Umbria Jazz ha uno straordinario valore e, anche l’ultima edizione, ha dimostrato che “tira” e attira. Si tratta del più grande festival jazzistico italiano e fra i più grandi d’Europa, conosciuto e amato negli Usa. Non sono peregrini dunque i timori che possa essere oggetto di operazioni culturali approssimative che lo banalizzino e lo immettano nel giro dei tanti concerti rock. E’ questa la materia del contendere che ha provocato le recenti polemiche? Un problema di contenuti dunque e non solo di “affiancamenti”. Ma i guai non finiscono qui.
I tagli delle istituzioni locali
Il tema dei tagli operati dalle istituzioni locali è da molto tempo all’ordine del giorno. La Regione quest’anno ha dato una nuova rasoiata portando il finanziamento da 600 a 400mila euro. Per la verità, però, non è stata solo la giunta Tesei a usare le forbici. La stagione dei risparmi è iniziata a partire dal 2009/2010. Si partiva allora da un contributo di 900mila euro. E che dire della Provincia di Perugia che ha azzerato – presidente Guasticchi – i finanziamenti? Quanto al Comune chi non ricorda la polemica di Carlo Pagnotta con l’assessore Teresa Severini e con il sindaco Romizi nell’ormai lontano 2016? Allora il direttore artistico di UJ attaccò entrambi perchè Palazzo dei Priori dava a “quella bucciottata di Umbria 1416” 200mila euro, mentre nelle casse della kermesse jazzistica ne arrivavano – e sempre con insopportabile ritardo – appena 50mila. Il sindaco si inalberò e rispose che avrebbe tagliato anche quella cifra per trasferirla alle scuole, Teresa Severini affermò che “a Perugia non esiste solo Pagnotta”. E quest’ultimo la apostrofava col titolo nobiliare di “signora del 1416”. Come si vede le polemiche vengono da lontano. E non erano colpi di fioretto, ma di sciabola.
La legge nazionale e altro
Sin qui il breve resoconto della “stagione dei tagli”. La ricostruzione sarebbe parziale se non si aggiungesse che, a partire dal 2017, c’è una legge nazionale che stanzia per Umbria Jazz un milione e che, attraverso gli sponsor e altre attività progettuali, entrano dai 400 ai 700 mila euro, a seconda delle edizioni . C’è poi l’introito del botteghino: quest’anno dai biglietti è arrivato più di un milione e nell’annata record del 2019 un milione e seicentomila. Umbria jazz porta nel capoluogo regionale parecchi soldi e determina un importante giro di affari. Basti pensare che durante la kermesse gli alberghi del capoluogo sono occupati all’80-85 per cento, e tutti i commercianti riconoscono che Uj e’ un volano fondamentale dell’economia. E’ insomma “il mare di Perugia”. Tanto va bene che l’assessore alla Cultura Paola Agabiti vorrebbe aprire una sessione ternana, idea di per sé tutt’altro che peregrina, ma che necessita di appositi investimenti. E questo fa temere nuovi tagli in altre direzioni. Anche perchè Perugia, almeno di recente, non ha catturato l’interesse della giunta regionale: basti pensare che Tesei and company non hanno stanziato nemmeno un euro per il centenario di Perugino. In compenso la recente campagna promozionale, commissionata da Palazzo Donini, è stata efficace ed ha prodotto buoni risultati anche sul turismo del capoluogo che va piuttosto bene.
L’anno chiave per il rilancio: il 2023
L’insieme delle questioni aperte crea un clima di tensione proprio mentre occorre definire i concerti e l’insieme delle iniziative del Cinquantenario di Umbria Jazz. Nel 2023 si potrebbe tornare ai livelli di presenze e di incassi del pre Covid e, in particolare, del 2019. Ed è legittima la speranza di andare anche oltre. Snaturare Uj culturalmente, non difenderne sino in fondo il brand, non giovarsi delle capacità del suo fondatore e continuare con la “politica dei tagli” da parte delle istituzioni locali sarebbe semplicemente un grave errore.