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di Marcello Marcellini

Un mese fa nel vedere in tv una madre ucraina correre con il suo bambino in braccio per cercare di salvarlo dalle bombe mi sono rivisto a sei anni quando a Massa Martana mia madre mi portava di corsa al rifugio.
E in quel momento ho sentito quello che stava provando quel bambino.
La mia famiglia si trovava a Massa perché era sfollata da Terni dopo i bombardamenti dell’agosto del 1943 e avevamo trovato alloggio in un piccolo appartamento di un edificio che si trovava nella piazzetta Giordano Bruno in fondo al paese. Il rifugio (l’unico esistente) consisteva in una lunga grotta scavata nella roccia sotto le mura di Massa. Quando cadevano le bombe correvamo lì e, una volta al sicuro, ce ne stavamo in quell’oscurità stretti l’un l’altro, in silenzio, in attesa che finisse l’incursione. Sul paese e dintorni cadevano per lo più di spezzoni incendiari, sganciati da cacciabombardieri, e anche bombe che avevano un peso e una dimensione inferiori di quelle di 500 libbre lasciate cadere dai B 17 su Terni, ma ugualmente micidiali. In una di queste incursioni nel maggio 1944 fu centrata la chiesa di San Felice, il patrono di Massa, situata al centro del paese e fu ucciso il parroco e altre persone che vi si erano rifugiate. Biscarini, un ricercatore toscano che ha scritto un interessante libro sui bombardamenti che l’Umbria subì durante la guerra, ha calcolato che su Massa le incursioni furono 14 (Umbria – La Guerra dal Cielo, Fond. Ranieri di Sorbello, 1912). Di solito gli aerei bombardavano la stazione e la linea ferroviaria che si trovavano a qualche chilometro da Massa, e che erano un obiettivo militare, ma alcuni piloti sganciavano i loro ordigni anche sul paese e sui casolari isolati. Ricordo che a Sarioli, una frazione a un paio di chilometri dal paese, uno spezzone centrò la casa di un nostro amico contadino e uccise le due mucche che si trovavano nella stalla. A quell’età non ero in grado di indignarmi e prendermela con i responsabili dei disagi che provavo e dei rischi che stavo correndo. Dopo le prime paure, la guerra per me era diventata una specie di fenomeno naturale e i bombardamenti erano come dei terremoti che si ripetevano a intervalli più o meno regolari. Sta accadendo così anche ai bambini ucraini? Spero proprio di no. Se i negoziati tra Russi e Ucraini dovessero presto portare, come tutti sperano, alla pace, non dovrebbe verificarsi alcuna assuefazione alla guerra. E questo sarebbe un bene per future generazioni europee.
Ma per tornare a quella mia esperienza di piccolo sfollato vorrei precisare che per la mia famiglia non era come stare in vacanza. Mio padre aveva perso il lavoro, eravamo poveri e la fame era tanta. C’era scarsità di tutto, anche del sale che i contadini usavano per conservare la carne. Così mio padre, assieme ad altri coraggiosi del paese, andava con la bici (quella con le ruote piene!) fino a Civitavecchia a prendere del sale che serviva come merce di scambio. All’andata il viaggio era una lunga passeggiata, ma al ritorno diventava una fatica boia dover pedalare per circa 130 chilometri con un sacco di sale di 30 chili sulla canna della bici.
Tornammo a Terni, alla nostra casa di Città Giardino, nella primavera del 1945 dopo un interminabile viaggio su un carro tirato da un paio di buoi. Ricordo ancora l’intenso profumo dei tigli mentre passavamo per via Piave.
Terni era per gran parte distrutta ma la nostra casa non aveva subito danni. Si trattava di ricominciare. I miei ripresero a lavorare ed io cominciai ad andare a scuola. La prima elementare la feci a palazzo Spada con le suore Orsoline.
La guerra per noi bambini era diventata soltanto un gioco.
Auguro di cuore a quel bambino ucraino che lo diventi presto anche per lui.