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di Gabriella Mecucci

È una sorta di legge del contrappasso: Il Pd, “figlio” del Pci, che non solo era il partito più votato ma anche il più ricco dell’Umbria, si è ridotto a tenere la propria sede in periferia: tre stanze in un piano rialzato, che fino a qualche anno fa ospitavano un circolo. Eppure la fondazione che gestisce l’eredità del fu Ds, discendente del fu Pci tuttora dichiara – bilancio del 2021 – di avere bene immobili (terreni e fabbricati) per quasi 7 milioni e mezzo di euro. I democratici sull’uso e la destinazione di quel “tesoro” non hanno però voce in capitolo. Nè tantomeno ne sono proprietari, e sopravvivono in modo gramo, ben lontani dai passati splendori quando avevano a disposizione un palazzotto a Corso Vannucci, con parecchi dipendenti che nei tempi gloriosi dei grandi exploit elettorali raggiunsero il numero di 48. Poi, in anni più recenti, il tracollo. Come è potuto accadere? Quando la gelida tramontana della storia spazzò via il partito comunista italiano, questo possedeva ancora un ricco patrimonio. Era sì pieno di debiti, ma “garantiti” da tanti immobili di gran valore. Tanto è vero che ancora oggi ne sono rimasti in mano all’associazione Enrico Berlinguer 2.399, come ha dichiarato trionfante il “tesoriere rosso” Ugo Sposetti.

Breve storia
Il Pci venne sciolto al congresso di Rimini nel febbraio 1991. In seguito tutti i beni passarono al Pds e poi ai Ds. Sino ad allora, le cose, più o meno, si erano mosse in modo lineare. Di mutui da onorare ce n’erano parecchi, ma il vero pasticcio venne fatto con lo scioglimento dei Democratici di sinistra e la nascita nel 2007– dalla fusione fra Democratici e Margherita – della nuova forza politica targata Walter Veltroni. Bisognava risolvere un delicato problema: a chi sarebbe andato l’ingente patrimonio e la brutta grana di pagare i debiti? Spuntarono 68 fondazioni che si unirono nell’associazione Enrico Berlinguer, sotto l’egida di Ugo Sposetti, che si era da tempo occupato delle finanze del partito, e che ora si trasformava in una sorta di monarca con tanti vassalli e valvassori: le fondazioni locali che diventarono proprietarie di tutti i beni del Pci.

Chi amministra il patrimonio umbro
A Perugia ne nacque una che venne chiamata Pietro Conti, primo presidente della Regione. Questa ereditò un patrimonio immobiliare (terreni e fabbricati) del valore, nel 2010, di circa 8 milioni di euro. Chi la gestisce oggi? L’architettura istituzionale è come minimo sorprendente. La fondazione ha infatti al suo vertice un comitato di indirizzo composto da otto membri, tutti nominati a vita. Restano dunque nell’organismo sino alla morte o sino a quando non decidano di andarsene di loro spontanea volontà. Gli orientamenti politici però cambiano. E, in quasi 15 anni, ne è passata d’acqua sotto i ponti: allontanamenti, scissioni, e quant’altro. Oggi, i magnifici otto sono: Fabrizio Bracco (presidente, Pd) , Giancarlo Cintioli, Valentino Filippetti, Marco Locchi, Cristina Papa, Raffaele Porlamo, Renzo Patumi, Marco Pompei. Non si può fare a meno di notare che c’è una sola donna, come a dire: quando si tratta di soldi le quote rosa non valgono più. I consiglieri aderenti al Pd sono in minoranza. E comunque non fanno parte dell’organismo in rappresentanza del partito, ma a titolo squisitamente individuale. E chissà cosa potrà accadere in futuro? La composizione potrebbe diventare per i democratici ancora più svantaggiosa perché il ricambio avviene per cooptazione: se qualcuno deve essere sostituito sono i magnifici otto a decidere chi lo rimpiazzerà. Questi nominano inoltre il consiglio di amministrazione, attualmente guidato da Renzo Patumi (Articolo 1) che si occupa della gestione ordinaria e straordinaria e – secondo alcuni dirigenti Pd – è proprio lui ad avere in mano il bandolo di tutte le matasse. Aldilà dei giudizi più o meno maliziosi, l’architettura istituzionale della Pietro Conti non tiene in considerazione gli equilibri politici né quelli passati né quelli attuali. È costruita per essere un fortino inespugnabile. Sia chiaro: nulla di illegale, tutto secondo le regola, ma difficilmente digeribile

I tanti interrogativi
C’è una domanda che non si può tacere: è giusto che una fondazione così composta amministri il patrimonio accumulato dal partito grazie ai versamenti dei militanti e degli eletti, grazie ai volontari delle feste dell’Unità, grazie alle sottoscrizioni dei privati e ai fondi del finanziamento pubblico, senza che l’erede politico di quel partito, abbia una benché minima voce in capitolo? La questione venne sollevata già nel 2007-2008. E ne dà conto nel suo libro “Il Tesoriere” Mauro Agostini, che ricoprì appunto quel ruolo, a partire dalla nascita del Pd. Così scrive: “I Ds avevano proceduto alla costituzione delle famose fondazioni per le proprietà immobiliari che, anche per l’opacità del
percorso seguito, determinavano una sostanziale ‘privatizzazione’ di un patrimonio che era frutto del sacrificio di molte generazioni di militanti”. E in uno scambio di lettere fra Agostini e Sposetti, pubblicato dal “Corriere della Sera”, emergono con ulteriore precisione tutti i contorni della polemica. Sposetti (tesoriere Ds) cercava di rassicurare scrivendo che “la riorganizzazione del patrimonio immobiliare è finalizzata all’unico obiettivo che possa entrare nella piena disponibilità del Pd.” Agostini replicava: “La costituzione di una fondazione implica la creazione di un comitato di indirizzo… Il problema è che nel caso in questione, i suoi membri, oltre ad essere in numero molto ristretto, sono nominati a vita e che in caso di morte si procede per cooptazione”. È esattamente quello che è accaduto in Umbria come altrove, ma non dappertutto allo stesso modo. Quanto alla “piena disponibilità dei beni”, in realtà non si è verificata. È rimasta una promessa

La strana storia della sede di Perugia
Nel 2017 la fondazione Pietro Conti aveva deciso di vendere la sede storica del Pci-Pds-Ds di Perugia ed era in trattative con Pietro Laffranco (parlamentare prima di An e poi di Forza Italia) e con i due fratelli Calabrese (uno di loro assessore della giunta Romizi). I tre non volevano farci una sede politica ma uno studio di avvocati. Fu una vera bomba che innescò una polemica al calor bianco. Lo scambio di accuse fra dirigenti del Pd tenne banco per mesi. Il più pungente fu quello fra Fabrizio Bracco, presidente del comitato di indirizzo della fondazione, e la presidente della Regione Catiuscia Marini che disse fra l’altro: “Pietro Conti si rivolta nella tomba”, e “Repubblica” parlò di “guerra dei rossi”. Il quotidiano descrisse poi con precisione le scelte della “Pietro Conti”: la vendita sarebbe avvenuta frazionata in cinque lotti, di cui uno sarebbe rimasto alla fondazione. Fabrizio Bracco spiegò che era una scelta “inevitabile”, nonostante ci fosse un attivo di bilancio. Secondo il presidente del comitato di indirizzo non c’erano soldi sufficienti per pagare un mutuo di quattromila euro al mese che gravava sull’immobile. La questione si concluse con l’alienazione del palazzotto di Piazza della Repubblica al non esaltante prezzo di un milione di euro. Mezzo milione circa in meno di quanto avevano dovuto spendere i Ds nel 2003 per riacquistarlo. Nel 1999 infatti la sede era stata ceduta ad una immobiliare nazionale costituita dai Ds a copertura dei debiti dell’Unità e, per riprendersela, il partito umbro dovette versare un milione e mezzo che trovò grazie ad alcune vendite, a 200 milioni di sottoscrizione e contraendo un mutuo di 900 milioni che nel tempo è stato estinto.

Situazione attuale
Nello storico palazzo di piazza della Repubblica alla fondazione sono rimaste tre stanze – di cui una piuttosto grande e in grado di ospitare riunioni da 40 persone circa. Il resto sono appartamenti, o meglio una “boutique house”, come si dice oggi. Il Pd non ha più niente. Ogni tanto rispuntano le polemiche perché la “Pietro Conti” mette in vendita qualche “pezzo” considerato pregiato. Di recente ne è scoppiata un’altra che riguarda l’alienazione della sede del partito a Spoleto. Fabrizio Bracco spiega di nuovo le scelte della fondazione con la necessità di pagare le tasse e i restanti muti e con le spese di manutenzione. Aggiunge inoltre di aver più volte messo a disposizione dei democratici alcuni immobili, ma che loro non riescono a pagarne l’Imu, il condominio, le bollette. Ormai il Pd si è impoverito, basti pensare che una volta c’erano ben 12 consiglieri regionali che versavano una parte dei loro consensi, e che oggi si sono ridotti a tre. Per non parlare del tracollo delle tessere. Tutto vero. Ma la promessa di Sposetti che il Pd avrebbe avuto “la piena disponibilità dei beni” è rimasta sulla carta. E il partito di un tempo ricco e potente, con una sede di oltre mille metri quadrati, si è trasformato oggi in una forza politica di periferia. In tutti i sensi.