di Gabriella Mecucci
La vicenda è di quelle da film: una love story tormentata, ambientata in una città che, dopo un dopoguerra difficile, imbocca la strada del risveglio. La città è Perugia e l’intreccio amoroso è quello che coinvolse Bob Dylan, Susan Rotolo e Enzo Bartoccioli. Un “come eravamo” fatto di passioni, di addii, di politica che si svolse in parte a New York e in parte nella provincia italiana.
Correvano i favolosi anni Sessanta e il capoluogo umbro usciva lentamente dal suo guscio con piglio da protagonista. Aldo Capitini con le sue marce pacifiste, l’aveva portato sulle prime pagine dei giornali. Intanto si assisteva alla grande ascesa della Perugina e agli albori di una nuova borghesia industriale. Il Pci locale diventava sempre più un punto di riferimento anche per il mondo giovanile, e metteva le basi per una lunga egemonia culturale. Per la verità i comunisti amministravano il Comune da tempo, insieme ai socialisti, ma vincevano le elezioni grazie alle frazioni e alle campagne, soprattutto col voto dei mezzadri. Nel cuore cittadino contavano poco, una nuova generazione però si affacciava alla politica. E a sinistra le cose cambiarono.
In questa Perugia – una sorta di crisalide in attesa di volare – si trovò a soggiornare il giovane Bob Dylan nel tentativo di riconquistare Suze – la ragazza che aveva conosciuto a New York, nei locali alternativi del Village, e di cui era innamoratissimo. C’è chi giura di averlo visto salire le scalette dell’acquedotto, sostare davanti a Palazzo Gallenga, frequentare i locali del centro insieme a lei. Sarà vero? Robert Zimmermann, che aveva già cambiato il proprio nome in quello di Bob Dylan, aldilà delle testimonianze più o meno fantasiose, a Perugia si fermò davvero per un paio di mesi, e forse più. Voleva convincere Suze a tornare negli States insieme a lui. Si era imbarcato per l’Italia dopo averle scritto una valanga di lettere che si chiudevano con un nostalgico “mi manchi”.
Nel 1963 uscì il suo secondo album, forse il più bello: “The Freewheelin”. In copertina c’era una fotografia diventata il simbolo di una generazione: Dylan e la Rotolo abbracciati e infreddoliti che camminavano per New York. Lei, sorridente e infagottata in un cappottino verde. Grazie a quell’immagine cult, diventò la musa di un astro nascente, mai più tramontato. Il 33 giri fu un successo strepitoso. E quello scatto, definito il “più bello”, il “più iconico”, il “più sentimentale” contribuì allo straordinario boom di vendite.
Ma chi era quella giovane donna e perché era venuta a Perugia? Suze era figlia di due italo – americani: sua madre, Mary Testa, rimasta precocemente vedova, collaborava col settimanale comunista l’ Unità del Popolo, suo padre lavorava in fabbrica ed era morto ancora giovane. Lei, a 17 anni era una ragazza attraente, vivace e simpatica. Era un’artista in erba e una militante per i diritti civili. Una notte incontrò in un locale del Village un ventenne col volto da adolescente, e fu colpo di fulmine. Lui scrisse di lei: “Era la cosa più erotica che avessi mai visto”. E non era solo questo. Era anche una ragazza con buone conoscenze musicali e con radicate idee politiche che lo influenzarono non poco: fu la sua musa e il Corriere della Sera ha scritto che fu lei a presentargli Picasso e Brecht. Ma diamo ancora la parola a Bob per raccontare la nascita della loro love story: “Cominciammo a parlare e la mia testa si mise a girare. La freccia di Cupido mi colpì dritto al cuore… Fare la sua conoscenza mi fece entrare nelle Mille e una notte. Aveva un sorriso che avrebbe potuto illuminare una strada piena di gente, possedeva una voluttà tutta particolare, una scultura di Rodin che aveva preso vita. Mi faceva venire in mente un’eroina dell’epoca dei libertini. Era assolutamente il mio tipo”.
Bob non piaceva per niente a mamma Mary, ma Suze, ribelle e parecchio anticonformista, decise lo stesso di andarci a vivere. I due avevano caratteri forti e si scontrarono. Fra passione e baruffe, lei maturò la scelta di venire a Perugia per imparare l’italiano all’Università degli Stranieri e fare i corsi d’arte. Lui, innamoratissimo, la seguì per riconquistarla. Difficile sapere come andarono le cose. Chi fu il primo a dichiarare chiusa la love story. Resta il fatto che Bob, ormai diventato una grande star, finì fra le braccia di Joan Baez. E Suze lo sostituì rapidamente: il suo posto fu preso da un giovane perugino, Enzo Bartoccioli, conosciuto nel periodo della permanenza in città. La storia con il cantautore era durata in tutto tre anni. Era stata una sorta di ottovolante e lei aveva probabilmente bisogno di un rapporto diverso. Ecco cosa scrisse di lui in un suo libro del 2006 dal titolo Sulla strada di Bob Dylan: “Era carismatico, era un faro, ma anche un buco nero. Richiedeva sostegno e protezione che non sono stata in grado di fornire, forse perché ne avevo bisogno anche io”. E ancora: “Ha sempre fatto quello che riteneva giusto, Andava dove voleva andare, anche quando per farlo doveva allontanarsi dal pubblico, dalle amanti, dagli amici. Non rendeva la vita facile a nessuno, nemmeno a se stesso”. Il cantautore era molto innamorato di lei e arrivò a proporle di sposarlo. Suze non manifestò mai astio verso Bob, ma per molti anni preferì non parlarne. E nel libro raccontò anche i suoi difetti: era, in poche parole, un ragazzo geniale, ma anche egocentrico e molto bugiardo, soprattutto con le donne.
La ragazza del Village aveva una personalità profondamente diversa dalle coetanee perugine dei primi anni Sessanta. La città era chiusa e tradizionalista, mentre lei era “figlia” delle avanguardie newyorkesi. Lo struscio di Corso Vannucci pullulava di giovani di buona famiglia, un po’ “farfalloni” e un po’ nulla facenti, ma in alcuni quartieri cominciavano ad organizzarsi i ragazzi di sinistra: gruppetti piccoli, talora piccolissimi. Socialisti e comunisti iniziarono a dar vita ai primi appuntamenti culturali in collaborazione con Aldo Capitini e talora con Pio Baldelli. Indimenticabile per gente come Enrico Mantovani, Francesco Mandarini, Enzo Forini è rimasta la proiezione del film “La grande guerra” promossa da loro. Un successo strepitoso con la Sala dei Notari strapiena: fu una sorta di spartiacque politico – culturale nella vita cittadina. E poi ci furono i primi tentativi di “tenere la piazza”, di fronteggiare i nostalgici del fascismo che a Perugia erano molti, anche fra i giovani.
Il quartiere di Porta Sant’Angelo era poverissimo e all’inizio degli anni Sessanta anche qui si formò un gruppetto di ragazzi di sinistra. Il più grande fra loro era Aldo Peverini, 17 anni nel ’60, che diventò rapidamente un dirigente del Pci – più tardi sarà fra i fondatori di Lotta Continua. Poi c’erano Francesco Mandarini, futuro presidente della Regione, Enzo Forini e Enzo Bartoccioli che amava solfeggiare e suonare il flauto. La cifra della vita a Porta Sant’Angelo era quella di una povertà vissuta come condizione naturale, senza lamentarsene, con dignità e solidarietà. Bambini e adolescenti frequentavano i Salesiani che in estate li portavano in campeggio a Colfiorito.
Nel 1960 una Perugina in forte crescita assunse ben 600 stagionali. Fra questi c’erano anche Mandarini e Bartoccioli. Centinaia di ragazzi entrarono allora nella grande fabbrica, molto avanzata tecnologicamente per quei tempi, stabilirono un rapporto con alcuni operai più anziani e cominciarono a fare proselitismo politico. Fondarono la Fgci che raggiunse nel 1963 i 450 iscritti su 2.400 dipendenti. La presenza organizzata dei comunisti venne addirittura prima di quella del sindacato. Colui che conquisterà il cuore della ragazza newyorkese amata da Bob Dylan, era uno dei militanti più attivi. Era un bel ragazzo ed era il meno povero del gruppo di Porta Sant’Angelo: sarà il primo a comprarsi un’automobile. Intanto però partiva la mattina di buon’ora col suo
amico Francesco Mandarini e insieme andavano a piedi sino a Fontivegge, dove c’era la Perugina. I due non avevano fatto le scuole medie, allora gli adolescenti come loro frequentavano l’avviamento – una sorta di marchio di classe. Erano attratti però dalla cultura e dalla letteratura americana: Hemingway, Steinbeck. E poi c’era la passione per il cinema. Gli States erano l’obiettivo polemico (yankee go home), ma anche il luogo di un’affascinante modernità: il rapporto era di amore e odio.
La presenza in fabbrica dei comunisti perugini si faceva progressivamente più incisiva. E cresceva anche quella delle donne nel sindacato interno. Quel gruppo ormai sempre più numeroso di militanti si andava trasformando in una vera e propria “aristocrazia operaia”. I suoi membri più attivi studiavano, divoravano i giornali, discutevano animatamente. Mandarini scrisse poi che “la Perugina era stata una fucina politica”.
All’epoca a Perugia dilagava la “caccia alle straniere” che si iscrivevano ai corsi di Palazzo Gallenga: i giovani “farfalloni” andavano alla stazione di Terontola per abbordarle, proponendo loro un passaggio in macchina per arrivare prima in città. C’era una sorta di gara a chi accompagnava le più belle, e si puntava soprattutto sulle americane perchè più libere e emancipate. Chissà se i tipi alla Bartoccioli sognassero di inserirsi in quella tenzone provinciale fra improvvisati tombeur de femme? Forse sì, ma per loro, che in tasca avevano poche lire, sarebbe stata una corsa a ostacoli. E poi la passione più intensa la riversavano nella politica. Eppure la love story indimenticabile capitò a Enzo: la ragazza che aveva affascinato Bob Dylan, che conosceva Allen Ginzberg e la beat generation, scelse proprio lui.
I due lasciarono Perugia e, la sera prima di partire per New York, brindarono alla nuova vita a casa del vecchio amico Aldo Peverini. Qualche anno dopo si
sposarono e ebbero un figlio. Tornarono più volte e capitava di incontrarli al Turreno in compagnia dei vecchi amici. Lui ebbe una carriera da documentarista alle Nazioni Unite, lei restò nel mondo dell’arte come grafica, disegnatrice e insegnante.
Dylan verrà a Perugia per il cinquantenario di Umbria Jazz e forse sarà sfiorato di nuovo dal ricordo della suo primo grande amore. Così gli accadde nel 2001 quando, dopo un concerto al Santa Giuliana, dicono che volle fare un nostalgico giro notturno per il centro storico e che raccontò a Sergino Piazzoli che lo accompagnava di quando venne in città per riconquistare Suze, e abitò in
un appartamento in zona Acquedotto. Il grande cantautore nonché Nobel per la Letteratura non dimenticò mai la sua “musa giovanile”: l’aiutò a trovare una nuova casa, quando l’appartamento dove viveva con Enzo fu danneggiato dalle fiamme. In quell’incendio finì in cenere anche il cappottino verde. E lei prese le distanze dalla romantica foto della celeberrima copertina: “Ero infagottata, sembravo grassa, una salsiccia italiana”. Suze è morta nel 2011, Bartoccioli abita a New York dove il figlio fa il musicista. La vita di lei somiglia a quella di Barbara Streisand nel film “Come eravamo”, coerente nel suo impegno politico sino alla fine.
I tanti protagonisti di quella storia, di quei movimenti, di quelle passioni – americani o perugini che fossero – sono stati “enfant du siècle”: hanno nutrito, per dirla con Doris Lessing, “il sogno più dolce”, ovvero quello della rivoluzione. E ora? Ciascuno ha la sua risposta e ciascuno il suo ricordo dei favolosi anni Sessanta.