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di Franco Raimondo Barbabella

Poiché si svolge anche questa volta con le note tristi modalità, l’ennesimo scontro politico sulla giustizia sembra non contenere nulla di nuovo. Non è così, e dipende dal fatto puramente casuale (ma la storia è piena di casualità) che lo scontro si svolge nello stesso momento in cui si sono verificati alcuni altri fatti molto indicativi e portatori di senso: dopo la morte e la “santificazione” di Berlusconi, l’assoluzione definitiva della famiglia Renzi e la morte di Arnaldo Forlani. Dice: ma che c’entra? Hai voglia se c’entra! Vediamo.
Giorgia Meloni dice che le iniziative giudiziarie a carico di Santanchè, Delmastro e La Russa figlio, considerate tutte insieme nonostante la specificità di ciascuna, sono un complotto della magistratura politicizzata contro il governo, facendo così pensare ad una continuità con un complottismo di lunga durata: oggi come ai tempi di Craxi (forse vergogna per le monetine?), oggi come nel caso di Forlani (forse contestazione del criterio giustizialista “non poteva non sapere?”), oggi come nel caso di Berlusconi (ma questa è un’ovvietà). Certo non oggi come nel caso di Renzi (no, questo credo che non lo si pensi, comunque di sicuro non lo si direbbe).
Però non è per nulla così: quelli sono stati casi di attacchi reali, organizzati, di una magistratura incaponita a trovare i colpevoli anche dove non c’erano, operazioni politiche più che di doveroso, normale, esercizio della funzione di giustizia. Operazioni di sostituzione di un potere dello stato ad un altro potere dello stato indebolitosi da solo per vicende interne e di fatto consegnatosi senza combattere.
Si può sempre discutere, ovviamente, anche di ciascuno di questi casi, ma la realtà ha dimostrato che, con e dopo tangentopoli e la distruzione di una intera classe politica (discutibile, tutt’altro che perfetta – ma l’idea di perfezione in politica è semplicemente stupida –, però di sicuro dotata di competenze solide e di capacità strategica), c’è stata una lunga storia di vero e proprio assedio giudiziario alla politica, che ha pesantemente inciso sulla vita di singole personalità, di gruppi
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politici e in generale della nazione. Soprattutto ha condizionato la riformabilità del sistema e in specie di quel suo ramo essenziale che è l’amministrazione della giustizia.
Lo scontro in atto è altra cosa. Come ha scritto Claudio Cerasa, più che la continuazione di un attacco della magistratura contro la politica, o addirittura di un complotto contro il governo, questa volta siamo di fronte ad un “autocomplotto”, quello di Meloni e della sua maggioranza contro sé stessa. Insomma, parole di Cerasa, “un autocomplotto della politica che ha scelto di premiare in posizioni apicali figure fragili, improponibili, non all’altezza, inconciliabili con il tentativo di Meloni di far crescere una nuova classe dirigente”.
Di qui dunque anche la sgradevole sensazione di una ripetizione del tentativo consueto dei politici italiani, questa volta peraltro un po’ troppo maldestro, di scaricare su altri le proprie responsabilità, quasi un mettere le mani avanti di fronte alle prime palesi difficoltà di realizzare in modo percettibile quel processo di rinnovamento del Paese che Meloni e gli esponenti della sua maggioranza hanno tante volte proclamato e su cui hanno chiesto e ottenuto il consenso a governare.
Ma i nodi della storia prima o poi vengono al pettine. E oggi in realtà sta venendo al pettine il nodo che nella storia di un Paese è davvero cruciale. È il nodo della qualità delle classi dirigenti e in primo luogo della classe dirigente politica, la mancanza di una selezione rigorosa, insieme al clima di un Paese che ha perso la bussola dei principi fondamentali, dei valori guida e dei comportamenti coerenti.
Aver sentito ieri a radio radicale i discorsi di Arnaldo Forlani, che all’epoca parevano dosi di morfina, fa venire i brividi per la lucidità di analisi, la fermezza e lo spessore politico, che da essi promana al confronto con la miseria che caratterizza le posizioni e gli interventi di troppi che si esibiscono oggi con quell’intollerabile logica dello spot che ne denuncia l’inconsistenza.
I nodi vengono al pettine. Magari dalla miseria e dalla confusione può anche spuntare qualcosa che in condizioni diverse e positive non sarebbe mai spuntato. Magari potrà addirittura venir fuori anche una decente riforma della giustizia, chissà! Ma in ogni caso non sarà né facile né di poco momento uscire da questa lunga fase di impoverimento delle classi dirigenti fatta di negazione delle differenze, di ideologismi, superficialità e arrivismo. Non sarà facile né automatico. Non sarà facile nemmeno per il civismo da poco costituitosi come soggetto politico nazionale.