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di Mauro Agostini*

Alla radice dei due importanti interventi di Ranieri di Sorbello e di Andrea Fora si coglie una convergente aspirazione: rianimare un dibattito pubblico di cui a Perugia da troppi anni si è perso addirittura il significato. Per un clamoroso paradosso il “progetto civico” di Romizi 2014 che si caratterizzava come un’alternativa a una politica ormai stanca e sfibrata ha perduto l’iniziale spinta innovativa e si è trasformato con il trascorrere del tempo in un assetto di potere che non apre più spazi alla città fino a trascinarla in un pericoloso arretramento. Su Perugia nel secondo mandato di Romizi è calata una coltre sempre più spessa di rassegnato conformismo alle non-scelte dell’amministrazione comunale e di indifferenza alla straordinarietà delle problematiche e degli eventi che investono oggi le nostre società. Un impasto di provincialismo autolesionista e di autentica incapacità a portarsi all’altezza delle esigenze. Un conservatorismo anestetizzante, che tritura i problemi, parcellizza con miopia ogni ipotesi di soluzioni, impedisce uno sguardo sul futuro. Questa è l’atmosfera prevalente in città. Una politica di destra che non ama impegni sfidanti, preferisce scivolare sui problemi, aderire passivamente alle esigenze di un trantran delle piccole cose. Credo che questa politica abbia funzionato indubbiamente nei primi sei sette anni della giunta Romizi ma che oggi mostri altrettanto evidentemente la corda, evidenziando che un ciclo è ormai giunto al capolinea. La città appare sempre più chiusa nelle sue contraddizioni, con una difficoltà palese della destra cittadina a individuare un percorso, pure in un momento di suo fulgore a livello nazionale, degno della storia e delle aspettative dei perugini. Lo stato di abbandono, con punte di vero e proprio degrado, in cui versano il centro storico e diversi quartieri non suscita, però, ancora una risposta anche solo in termini di protesta. Certo dipende anche dalla pochezza dell’azione dell’opposizione, ma credo ci sia dell’altro. Abbiamo detto come una parte della città abbia apprezzato questa forma di non-governo. Invece, la parte più dinamica, più propositiva – fasce dell’imprenditoria, delle professioni, dell’intellettualità, del volontariato, dei diritti civili, del terzo settore, della moderna sofferenza sociale, degli operatori del welfare, dell’educazione e dell’accademia – si caratterizza per una sorta di ritrosia, sembra starsene ancora alla finestra. Giustamente critica dello scadimento della qualità della politica. Ma la contemporaneità con le sue enormi e inedite problematiche di povertà, di disuguaglianza, di transizione climatica e tecnologica, bussa prepotentemente alle porte. E la soluzione non sta, a destra come a sinistra, nel chiudere le porte urbiche ma all’opposto nell’immergersi con umiltà nelle contraddizioni dell’oggi. Un nuovo modello di città che possa coniugare una forte tensione allo sviluppo e una nuova organizzazione di welfare. In estrema sintesi questa la sfida. Per l’uno e per l’altro c’è bisogno di freschezza culturale, di nuove energie, di capacità al tempo stesso di visione e di governo. Chi può mettersi alla testa di questo impegno? In altra epoca si sarebbe detto che siccome ha governato la destra ora tocca alla sinistra. Ma oggi per quello che vediamo sotto i nostri occhi è anche la stessa sinistra a essere parte del problema. E lo dico da uomo di sinistra. C’è bisogno di qualcosa di realmente nuovo. Fermamente ancorato al campo progressista e riformista, ma con contenuti e forme inediti, completamente nuovi. Il civismo? E qui mi rivolgo in particolare a Andrea Fora. Certamente è una componente fondamentale. Ma non può essere né ruota di scorta a copertura delle mancanze della politica (ogni riferimento alle regionali scorse è puramente casuale) né cadere in una sindrome di autosufficienza. C’è bisogno di una mobilitazione di energie e ce ne sono tante che aspettano una “chiamata”. C’è bisogno di un progetto sociale, di qualcosa che scende nel profondo delle esigenze della società perugina. Una volta lo facevano i partiti, oggi non è più così. Un lavoro che bisogna far crescere dal basso, con centinaia di incontri nei quartieri e nel centro storico. Con serate passate a discutere, a confrontarsi, a farsi criticare e a farsi riconoscere, a costruire insieme delle soluzioni. Certo, anche i social ma soprattutto il contatto, il confronto fecondo, il rispetto, l’ascolto dell’altrui opinione, l’elaborazione collettiva, tutto quello che i social non garantiscono. Sorge a questo punto un’altra domanda: si può prescindere del tutto dai partiti? No, sarebbe un errore. Ma con una lucida consapevolezza: il paradigma “classico” in una situazione come questa comporterebbe uno sforzo di apertura dei partiti con “innesti” vivificatori dalla società civile. Oggi questo paradigma va rovesciato come un guanto: una forte mobilitazione che parte dalla società si pone essa come interlocutore, primario e autonomo, nei confronti delle formazioni politiche imponendo il terreno del confronto. Questo movimento sociale di cui sto provando a tratteggiare il profilo può rappresentare una spinta potente a chi all’interno dei partiti del campo progressista sta cercando di affermare una nuova pratica della politica. Può liberare energie che non intendono più sottostare a quelle logiche correntizie che hanno determinato la marginalità politica e la sostanziale irrilevanza sociale che caratterizzano oggi il Pd umbro. Un lavoro di lunga lena che va avviato subito se si vuol tornare a rendere contendibili il Comune di Perugia e la Regione. Non ci si può rassegnare a questo piano inclinato di decadimento della città. Tanti potrebbero essere gli esempi, non è questa la sede. Soltanto uno: è possibile che in tutto il mondo – sì in tutto il mondo – per una migliore vivibilità delle città e per fare fronte al cambiamento climatico il tema della mobilità alternativa impegna a scelte di disincentivo all’uso del trasporto privato, all’estensione delle zone a traffico limitato, mentre a Perugia si procede ormai da anni in una direzione diametralmente opposta? E il tema non riguarda solo il centro storico ma l’insieme della città che intorno all’esigenza di riduzione del consumo dell’ambiente va ridisegnata. Senza guardare con nostalgia a altre epoche, è la novità dei problemi che impone una soluzione di continuità, una soluzione soprattutto di cultura politica nel senso pieno, cioè di cultura della polis.
PS. Nel frattempo si è celebrato il Capodanno di Amadeus a Perugia con tutto il relativo contorno di polemiche. Nella mia attività, professionale e politica, ho cercato di valorizzare l’Umbria, non sempre riuscendoci. Se c’è qualcuno che oggi, con risorse prima non disponibili, riesce a ottenere questo risultato perché si dovrebbe storcere il naso? Lo scorrere delle splendide immagini della nostra terra su un grande palcoscenico mediatico non mi suscitano nessun “rosicamento”, tutt’altro ne sono orgoglioso. Right or wrong it’s my country! Così come la gioia di migliaia di persone che subissano il centro non mi fa alzare il sopracciglio del disturbo come residente del centro stesso. Non è il modo in cui io mi diverto, ma va bene così. Certo il contenitore artistico-musicale era davvero mediocre, ma questo è un discorso assai più generale che non si può aprire qui. Altro è il discorso da fare sulla politica dell’evento. Senza scomodare le polemiche sull’effimero romano di qualche decennio fa, è chiaro che già da domani questo evento non lascerà nulla se non – e è questione da non sottovalutare – i ricavi aggiuntivi per gli esercizi pubblici. Ha colto il cuore della questione Enrico Menichetti su FB:” Perugia è alla ricerca di un’identità altra, tutta da immaginare e costruire, rivolta al futuro. E il palco (così come prendersela con il palco o difendere il palco) è solo una via di fuga, una scorciatoia per passare sotto l’asticella”. Il centro storico non può essere inteso come un palcoscenico, va innervato di politiche per la residenzialità, per un insieme di attività culturali (e ce ne sono tante) che garantiscano una costante attrazione, per una qualità ambientale (nel senso pieno) del vivere urbano, che oggi non si riscontra. Insomma, mi sembra che le considerazioni che ho provato a svolgere in questo mio intervento siano pienamente confermate dall’evento-non evento che ha aperto l’”anno che verrà” e che dovrà essere l’anno della nuova progettualità.

*già parlamentare Pd