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di Sud

Chi come noi va a raccogliere asparagi saltuariamente e “da dilettante” si contenta di una bella passeggiata in campagna e di un bottino magro, buono tutt’al più per una frittatina di due uova. Così sappiamo bene quanto è difficile l’esercizio di distogliere lo sguardo dal piacevole Tutto del verde, e concentrarlo invece su quel quasi invisibile Uno (che poi più che verde, spesso è marroncino).
È un esercizio quasi filosofico; un po’ come quello necessario per comprendere la dialettica tutto/ uno, che da Parmenide ed Eraclito, passando per Aristotele e Plotino, Giordano Bruno, Fichte, Schelling e Hegel, arriva fino all’entanglement quantistico.
Chissà se il raccontino di Achille Campanile che dà il titolo a questo pezzo venne fuori proprio da un giro di pensieri come il nostro. Oppure da un ricordo del Convivio di Dante, dove si dice che la «vegetativa potenza» delle piante «puote essere anima».
La ricerca delle fonti ispiratrici di un’opera letteraria è un lavoraccio, come ci hanno insegnato i maestri della scuola storica; e non del tutto inutile, anche se spesso ridotto dai «puri letterati», come diceva Croce, a un «giochetto infantile». Un giochetto quasi impossibile, se applicato alla sfrenata fantasia dell’autore delle Tragedie in due battute.
Campanile è un caso unico nella nostra letteratura: uno capace di inventare migliaia di situazioni e personaggi paradossali, che sembrano rasentare il nonsense dissacratorio e distruttivo di Ionesco, ma anche di nascondervi dentro sfumature antropologiche ed esistenziali di rara profondità.
Per il resto lo scrittore ci dice che l’asparago è «ottimo lessato e condito con olio, aceto, sale e pepe», «cotto col burro e condito con formaggio parmigiano», o con «un uovo frittellato sopra»; e ha in comune con l’immortalità dell’anima, oltre alla piacevolezza, qualcosa che ha a che vedere col gambo, anche se si tratta di «un contatto puramente formale ed esteriore, in quanto c’è una bella differenza fra l’anima e un gambo d’asparago!».