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di Fabrizio Croce

Nel Consiglio Comunale di Perugia in questi giorni si sta votando sulla proposta di abrogare formalmente due organismi di rappresentanza che fin dalla loro istituzione (2004 per la “Consulta dei consumatori e degli utenti” ed il 2009 per la “Consulta studentesca”) erano stati ritenuti dal principale organo elettivo cittadino “indispensabili” al funzionamento della macchina amministrativa, pur non essendo né costituiti né operativi da quando si è insediata la prima Giunta Romizi nel 2014.
Al netto delle due consulte “sulla graticola” il Regolamento Comunale in vigore contempla l’esistenza di ben altri 12 “organismi di rappresentanza” che, per loro natura, sono destinati ad un costante confronto tra organi politici, amministrazione e cittadinanza attiva e che danno ampiamente spazio, nella modalità di composizione (e finalmente, mi sentirei di dire) alla competenza ed al merito.
Il problema è che la politica attuale sembra aver paura di cedere anche solo un piccolissimo pezzo di potere, non decisionale, ma almeno consultivo e di vigilanza, a vantaggio di organismi che non sono di emanazione politica e, pertanto, o li fa funzionare solo sul piano rituale, oppure ne frena ed impedisce di fatto l’attività regolata da leggi dello stato ed ispirata da principi costituzionali. Paradossalmente questa stessa politica, fin dalle linee programmatiche del suo programma di mandato nel 2014 si richiamava al principio della “partecipazione” e, in quelle del 2019, dichiarava addirittura di volerne implementarne i modi e le forme.
Dov’è la contraddizione, allora ? Quale il vulnus concettuale oltre che sostanziale che tocca noi cittadini?
“La libertà non è stare sopra un albero
Non è neanche avere un’opinione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione…”
Mezzo secolo fa Giorgio Gaber descrisse così il desiderio dell’uomo libero di indirizzare la propria esistenza in un contesto pubblico nel quale l’animale sociale che è in lui intende solo un modo per manifestare la propria libertà: attraverso la democrazia e l’essere parte di una collettività.
La Costituzione Italiana, come quelle di tutte le democrazie rappresentative, fin dalle sue origini individua, come strumento base della partecipazione dei cittadini alla politica, l’elezione diretta dei membri dei due parlamenti nazionali e di quelli dei consigli comunali, a capo dei quali (secondo la volontà popolare espressa 30 anni fa) siederà poi un sindaco da loro stessi direttamente scelto.
A seguito di una istanza di decentramento espressa da larga parte del paese, già sfociata pochi anni prima nella istituzione delle Regioni, nel 1976 un’apposita legge introdusse l’organismo di rappresentanza territoriale della Circoscrizione in luogo degli informali “consigli di quartiere” – che si erano diffusi in molte città già dal decennio precedente – dotato di propri organi ed autonomia. Perugia, come si sa, a rimorchio della Legge Finanziaria del 2008, scelse con fretta ed eccesso di zelo di rinunciare da subito al rinnovo delle 13 Circoscrizioni in cui era diviso il suo ampio territorio di circa 450 km quadrati – che ne fa l’undicesimo comune per dimensioni su quasi 8.000 in totale. Erano gli anni dei “tagli ai costi della pubblica amministrazione”, della “semplificazione burocratica” e di altri concetti che non sempre poi sono stati realmente declinati in modo efficace e coerente. Da allora, a più riprese, è emersa, dentro e fuori le sedi istituzionali, in Umbria ed in Italia, una linea di pensiero che vorrebbe ricostituire, in un numero congruo ed in chiave “contemporanea”, delle forme disciplinate di organismi di rappresentanza territoriale.
In altri termini, c’è spazio e si potrebbe, a titolo volontaristico e con il massimo della rappresentatività e rotazione, restituire ai singoli cittadini o alle associazioni di promozione sociale e culturale a vocazione locale, a Pro-Loco e Polisportive, la possibilità di fare da connessione, non più solo su base spontanea, tra le singole parti del territorio comunale ed il governo centrale della città.
La quantità, la modalità di composizione e lo stesso funzionamento di questi organismi dovrebbero, secondo chi prospetta il ricorso a questi modelli, rispettare criteri di sostenibilità economica, equilibrio tra le componenti e democrazia “allo stato solido”.
Tanti sono gli esempi tra le città sotto la soglia 250.000 abitanti (quella che l’attuale normativa ha posto come preclusiva per il mantenimento di quell’organo formalmente costituito), ovvero con dimensioni simili alla nostra, in cui negli ultimi anni in luogo delle Circoscrizioni si è andati ad istituire “Consigli di quartiere” (Brescia, Cesena, Pesaro, Udine, Varese ad esempio), “Consulte di quartiere” (come Padova o Reggio Emilia) o “Comitati di quartiere” (Pavia o Bitonto)
Si tratta di organi snelli, costituiti su base elettorale, attraverso “piattaforme” (dove entrano in ballo moduli, requisiti minimi di ammissibilità, criteri di selezione) o, in qualche caso, anche su sorteggio, come nell’antica Roma, aperti a cittadini singoli o aggregati (enti del terzo settore, gruppi di controllo di comunità, centri sociali, ecc.), operanti a titolo volontaristico ed a costi risibili per la collettività.
Quando tali attività hanno dei costi, al massimo, sono quelli delle utenze di una sede e, se un’amministrazione (come la nostra) disponesse di innumerevoli sale polivalenti, centri socio- culturali o spazi condivisi tra associazioni, anche questa spesa tenderebbe quasi ad azzerarsi.
Che poi quasi tutte queste esperienze abbiano avuto origine da giunte progressiste è solo nella normalità delle cose, in quanto la “destra”, politicamente intesa, si sa che è quella dell’uomo (o della donna) solo al comando e nei fatti (e Perugia non sfugge a tale regola) sembra saper declinare la partecipazione preferibilmente, salvo rare eccezioni, sotto forma della “narrazione” di scelte già avvenute ai vertici dentro il contenitore di “assemblee pubbliche” strumentali o di facciata.
Tale istanza già emerse senza successo in pezzi di “maggioranza” addirittura nel 2013, nel corso dell’ultimo mandato del Centro-Sinistra, ed è stata poi centrale, ma evidentemente ciò non è bastato, nel programma elettorale del candidato Sindaco Giubilei nel 2019, oltre che nell’azione dei consiglieri di opposizione nel corso di questa consiliatura, che a più riprese l’hanno sostenuta.
La domanda nasce dalla maturata consapevolezza di riportare un “pezzo di potere” fuori dal Palazzo, di riattivare una interlocuzione diretta con i tanti tasselli di cui è composta una città “multicentrica” come poche altre in Italia, di sfuggire alle logiche della raccomandazione, della clientela o dello scambio cui, inevitabilmente, finisce per soggiacere un’azione politica lasciata alla sola intermediazione politica dei consiglieri comunali o degli stessi componenti della Giunta.
Che poi tale tendenza (“l’inciucio”) esista solo nella percezione dei cittadini e non nei fatti è già di per sé grave perché a lungo andare li spinge, inesorabilmente, al disincanto verso la politica, alla perdita di senso civico, all’affermazione dell’individualità più spregiudicata ed al dissenso ad orologeria o a tema, ovvero quello mosso solo dalla difesa della proprietà o del confine.
Il consenso popolare ai Funari e Grillo di turno, la mitizzazione dei giudici di “mani pulite”, la ribellione alla “casta”, il corale “vaffa…” di cui siamo stati spettatori negli ultimi tre decenni hanno anticipato forme di reazione sempre più variegate ed imprevedibili negli esiti futuri, come attesta e testimonia brutalmente l’elezione a Sindaco di Terni di Bandecchi nell’ultima tornata amministrativa.
Attenzione però a pensare che basti un ribaltone elettorale per riportare in auge qualsivoglia forma di rappresentanza territoriale: le regole della democrazia richiedono dei processi di formazione che passano attraverso atti e delibere, pareri tecnico-regolamentari, incontri di presentazione ed altri passaggi di avvicinamento per arrivare poi alla costituzione effettiva di tali organi.
Intanto, però, se ci fosse un mandato politico chiaro, questo processo potrebbe finalmente avviarsi e, prima o poi, produrre qualcosa di concreto anche alle latitudini di Perugia.
Esiste però un antidoto all’inazione ed al limbo che produce disabitudine alla democrazia. Il panorama normativo vigente, infatti, ci offre su un piatto d’argento una diversa forma di “partecipazione” che nella nostra città, ad esempio, è stata largamente disattesa nel nuovo millennio, tanto più da quando al governo agiscono giunte di centro-destra.
Se a Perugia parlassimo di “organismi indispensabili” di fronte ad un consesso pubblico, anche mediamente preparato, probabilmente la quasi totalità dei presenti sarebbe alquanto impreparata sulla loro ragion d’essere e funzione, pur magari avendo avuto esperienze dirette o indirette di contatto con qualcuno di essi.
Stiamo parlando di quelle aggregazioni che, di volta in volta, si chiamano Consulta, Forum o Osservatorio e che mettono in pratica, ciascuna con le proprie regole di ingaggio, l’unica forma codificata di convivenza tra rappresentanti dell’istituzione politica o loro delegati ed espressioni della cittadinanza qualificate (udite, udite) dal merito, dal titolo o dalla competenza acquisita in quanto rappresentanti di enti, associazioni, ordini, comitati ed altre forme organizzative riconosciute.
Nel regolamento comunale di Perugia ne esistono per tutti i gusti e per ogni tema. 3 sono composti direttamente dal Sindaco e dalla Giunta ad inizio del loro mandato e rimangono in carica per tutta la sua durata (animali, servizi di taxi e noleggio con conducente, sport). I rimanenti sono composti ed annualmente rinnovati nell’organico dal Consiglio Comunale. Ben 7 di questi sono considerati formalmente “indispensabili” al funzionamento della macchina amministrativa e sono stati confermati proprio in questi giorni dal supremo organo cittadino (in ordine alfabetico: Albo d’oro, disabilità, famiglia, giovani, immigrazione, qualità architettonica e paesaggio, rifiuti), sebbene, va aggiunto, solo 3 di essi funzionino a regime e gli altri 4 siano ancora e disperatamente … in cerca d’autore. 2 (consumatori ed utenti, studenti), come si diceva, sono… in attesa di giudizio. Altri 2 organismi (verde, mobilità alternativa e sicurezza stradale) esistono, ma solo in un limbo indefinito, nell’attesa che qualcuno che ne abbia titolo, dal Sindaco in giù, si decida ad attivarle. Infine, 2 sono stati rimossi (ma per regolamento potrebbero essere riattivati dal Consiglio comunale) nel corso delle ultime due consiliature (servizi pubblici e aziende locali a partecipazione pubblica, regolamento dei permessi per la ZTL e le zone esterne) in quanto ritenuti superati o assorbiti nelle funzioni dai nuovi assetti degli uffici amministrativi. 1, infine, (turismo), proposto nel corso di questa consiliatura e sostenuto da tutte le opposizioni, è stato bocciato dalla maggioranza e per il momento accantonato.
La messa a regime e la razionalizzazione di questi organismi, che toccano i più disparati temi offerti dal diritto di cittadinanza, potrebbero nell’immediato futuro rappresentare una innovazione profonda nell’indirizzare le scelte politiche della Giunta, fondandosi essenzialmente sulla valorizzazione delle competenze e delle conoscenze di una materia, maturate per motivi professionali o insite nello stato civile, nell’esperienza o nelle vocazioni di ciascuna persona o Ente. Il processo di riorganizzazione di organismi di rappresentanza su base territoriale o tematica sta diventando indispensabile ad una configurazione futura della politica finalmente e nuovamente al servizio dei cittadini.
Contestualmente a ciò, e fuori dalle istituzioni, il recepimento del lavoro organizzato di questi cittadini “attivi” – come definirli meglio ?- rielaborato e portato a sintesi da quel che resta oggi dei cosiddetti “corpi intermedi” (partiti, sindacati, formazioni sociali di qualsivoglia natura) avrebbe uno straordinario e molteplice valore taumaturgico.
1- Rivitalizzare questa fondamentale espressione del principio di sussidiarietà sancito dalla Costituzione, ma sempre più svuotato e polverizzato nella realtà italiana contemporanea, anche perché spesso frenato nella sua aderenza alla quotidianità da sovrastrutture ideologiche a volte puramente strumentali e livelli di democrazia e dialettica interna sotto il livello di guardia.
2- Contribuire ad alimentare quotidianamente il confronto e ad orientare il dibattito politico nella direzione che la parte più viva e propositiva della cittadinanza auspica… fuori dai denti.
3- Trasformare la semplice attività in attivismo civico e, perché no, trasferire in questa esperienza di formazione ed avvicinamento alla “res pubblica”, che, bisogna prenderne atto, i corpi intermedi non riescono più a svolgere capillarmente, la funzione di incubatore di una nuova classe dirigente forgiata per le sfide del futuro.
Se a ciò si aggiungesse un ricorso più equilibrato e coerente al “Regolamento Comunale per la cura e la valorizzazione dei beni comuni urbani”, di cui Perugia si è dotata nel 2017 armonizzandosi con un principio costituzionale fino ad allora di fatto inapplicato, si darebbe finalmente una veste ufficiale alle molteplici attività che i cittadini mettono in atto a titolo gratuito e senza scopo di lucro e che hanno per loro stessa ispirazione una valenza collettiva. Queste cose sono a portata di mano e di regolamenti, non richiedono procedure e iter burocratici di cui ne abbiamo piene le tasche e la memoria: basta solo applicarle.
Questa è la partecipazione che quelli come me auspicano e che tante menti illuminate prima di noi, da Mazzini alla Scuola dei sociologi di Chicago, da Capitini ai non pochi politici competenti che hanno operato nel corso dei processi di trasformazione delle città degli anni ‘60/’70 (anche a Perugia e in Umbria), fino a quelli che in varie forme l’hanno invocata (di cui Gaber fu una delle voci più autorevoli), hanno teorizzato e codificato nel tempo. Questo, purché fatto di forma e sostanza, può essere il vero mandato politico da dare in mano a chi dovrà traghettare questa città fuori dalle sabbie mobili e verso il 2030.