Ci sono luoghi che hanno la sorte di essere dimenticati dal tempo. Può avvenire a seguito di una catastrofe o di una invasione, può avvenire anche per mutate esigenze della popolazione e dei commerci. Carsulae è uno di questi luoghi silenziosi e assorti: non sappiamo bene, non abbiamo testimonianze scritte della ragione, ma il fatto è che in un momento che viene situato tra il IV e il VI secolo questa cittadina un tempo fiorente municipio romano – entrato anche nella grande storia, con Tacito, nell’anno dei tre imperatori, per noi il 69 d.C. – viene lasciata vuota di abitanti e commerci.
Bello e terribile è lo scenario tacitiano. A Roma, dopo la morte di Nerone, si sono succeduti in breve lasso di tempo Galba, Otone e Vitellio. Ognuno ha detronizzato l’altro, con grande spargimento di sangue, ma ora le legioni balcaniche hanno proclamato un nuovo imperatore, Vespasiano, come predetto da Giuseppe Flavio. Vespasiano con le sue armate, a tappe forzate, raggiunge l’Italia. Li attendono le truppe di Vitellio, nella conca del Nahar, e i legionari stanchi si fermano a riposare una notte, una sola notte in una importante e ben fornita stazione di tappa sulla Flaminia, sul colle sovrastante. Carsulae. Nella valle vedono sparsi i fuochi delle legioni avversarie, e forse pensano allo scontro sanguinoso tra legionari, tra connazionali, che li attende domani; una notte insonne e febbrile da entrambe le parti. Ma lo scontro non ci sarà; il giorno dopo, abbandonato Vitellio al suo cupo destino, le legioni della valle si incontreranno con i commilitoni e si abbracceranno; Vespasiano, il condottiero sempre vincente, è il nuovo princeps di Roma.
Dopo questo evento eclatante, Carsulae torna in un cono d’ombra, e seguito all’abbandono erba e alberi riprendono possesso dei luoghi, segnati dalla presenza di rari eremiti, di santi e di leggende. Emergono da questo oblio pochi tratti, un arco, delle steli funebri. La causa possiamo ipotizzarla soltanto; il Sovrintendente che per primo qui nella seconda metà secolo scorso scavò in maniera scientifica moderna, il dott. Umberto Ciotti, ipotizzò da alcuni ruderi e dalla loro posizione sul terreno che ci fosse stato un terremoto molto violento che indusse all’abbandono; ora si preferisce pensare ad un graduale spostamento delle vie commerciali verso la direttrice di Spoleto, che indusse gli abitanti a arroccarsi poi, per sicurezza, nella attuale Sangemini. Qualcosa ci deve essere di continuità, perché del culto dei Dioscuri medici e della salubrità del luogo ci sono testimonianze e anche la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano – santi medici – lo attesta.
Ora a Carsulae si respira un profumo silvestre, e talora sembra di veder Pan e le ninfe aggirarsi nei sacri boschetti circostanti. Sotto l’erba giacciono ancora molti misteri e molte domande, che si viene dall’Australia con la Mcquaire University per scavare e studiare, e nuove risposte emergono insieme ad altri interrogativi. Già a suo tempo, del resto, la terra aveva restituito frammenti di una gigantesca statua dell’imperatore Claudio, che ora il visitatore fortunato e curioso può vedere nella sala espositiva dell’ingresso.
Non corriamo troppo. A Carsulae si arriva percorrendo in auto una strada in mezzo a boschi e prati, e si lascia l’auto in un ampio parcheggio un po’ sconnesso, per poi intraprendere una bella passeggiata di qualche centinaio di metri sino alla biglietteria. Ma bisogna andarci, a questa biglietteria. Invece, non si sa perché, anche nelle belle giornate primaverili, nelle calde giornate estive che comunque qui il verde ed il vento rinfrescano, e sembra di sentire Pan che zufola davvero il flauto, a Carsulae ci sono poche persone. Pochi visitatori, e il vento sembra deluso quando viene sera e pochi sono venuti ad ascoltare il silenzio provando un sentimento di panica unione con la natura.
Peccato. Chi non visita questo luogo non potrà ammirare le rovine del Foro ed il misterioso arco urbico residuo di una antica porta, la suggestiva chiesetta dei santi medici, il teatro dalla forma perfetta, non potrà guardare verso il tramonto pensando ai fuochi dei legionari nella valle, non potrà conoscere la storia e le storie che le pietre raccontano. Chi non verrà non saprà nemmeno degli spettacoli serali organizzati da un gruppo di giovani, per ricostruire la storia della bambina e della sua collana, per ricostruire la storia di liberti avventurosi e di amori contrastati, non vedrà nemmeno gli spettacoli di danza nelle mattine d’estate, non conoscerà quello che gli artigiani della valle, orgogliosi e degni eredi di quegli artigiani che un tempo numerosi vivevano su questo colle, hanno ideato per celebrare la storia e la abilità. Non vedrà niente di tutto questo. Peccato.