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di Sud

In principio fu la polpetta, citata in un trattato di cucina del Quattrocento, che però in realtà era un involtino di carne ripieno di erbe aromatiche e uova. La polpetta che conosciamo noi risale al Settecento, quando si cominciò a tritare la carne e a mischiarla con gli altri ingredienti. E il polpettone?
A codificarlo nella sua Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene del 1891 fu Pellegrino Artusi: «Signor Polpettone, venite avanti; non vi peritate: voglio solo presentare anche voi ai miei lettori. Lo so che siete modesto ed umile perché, veduta la vostra origine, vi sapete da meno di molti altri; ma fatevi coraggio e non dubitate che con qualche parola detta in vostro favore troverete qualcuno che vorrà assaggiarvi e che vi farà forse tanto buon viso».
Ovviamente il polpettone era già diffuso, e anche le parole di Artusi lo confermano. Di sicuro lo conosceva (e lo mangiava) il giovane Francesco De Sanctis negli anni ’30 dell’Ottocento, come ricordò da vecchio nel suo bellissimo libro di ricordi intitolato La giovinezza. Ma ci sono altre attestazioni che, indirettamente, ci consentono di retrodatare a quegli anni il consumo di polpettone.
Sono quelle in cui il termine è usato come metafora di uno scritto composto di tanti (spesso troppi) elementi diversi, eterogenei, lungo e noioso. Come fa ad esempio Giuseppe Giusti alla metà del secolo stroncando in rima (senza nominarla) la Storia universale di Cesare Cantù, il quale, avendo riempito la sua opera «d’ogni costume e d’ogni opinione, ha fatto bravamente un polpettone».
L’uso metaforico del termine è ancora oggi frequentissimo. Nella letteratura Claudio Magris conia addirittura le due tipologie («il polpettone dolciastro e il polpettone trasgressivo») per indicare due tendenze del romanzo moderno. E i critici cinematografici non hanno esitato a definire “polpettoni” tanti film celebrati e premiati.
E quando troviamo Giovanni Sartori sul Corriere definire il secondo governo Prodi «un indigesto polpettone», il pensiero di chi frequenta la cucina va inevitabilmente all’irriverente soprannome dello statista, coniato da Corrado Guzzanti e insquallidito da Vittorio Feltri. Anche perché la mortadella, nel polpettone, sta benissimo.