di Anna Camaiti Hostert
Nelle ultime settimane non ho scritto sull’America, come faccio di solito. Eppure di eventi su cui riflettere ce ne sarebbero stati tanti: il drone sul Cremlino di cui Putin ha accusato l’amministrazione Biden, affermando che un conflitto letale tra i due paesi si avvicina sempre di più, diverse sparatorie nel paese con nuove vittime innocenti, l’emergenza immigrazione al confine con il Messico, numerosi disastri ambientali, la deposizione di Mike Pence di fronte al Grand Jury per i fatti del 6 gennaio, la recente accusa di stupro nei confronti di Donald Trump, il suo rifiuto di testimoniare e molto altro.
Ma, mi direte voi, cosa ci può essere di più importante della sopravvivenza del genere umano a causa della spirale infinita di una guerra che minaccia di distruggerci, dei danni ecologici all’ambiente o dell’imbarbarimento del paese guida dell’occidente che annega quotidianamente in un mare di sangue e di piombo, perché non si trova un accordo per bandire o almeno restringere la vendita delle armi o della pressione sempre più crescente e ormai divenuta ingestibile degli immigrati che si accalcano al confine in cerca di una vita migliore o infine del tramontare di una democrazia che sta cancellando i propri principi basilari perché si è consegnata e minaccia di riconsegnarsi nelle mani di Donald Trump, uomo non solo privo di scrupoli morali, ma totalmente incapace anche di immaginare cosa significhi il bene comune o di avere un minimo interesse per l’umanità?
Eppure non ho scritto, perché c’è stato e c’è qualcosa che, quotidianamente mi tormenta e mi preoccupa molto più di tutti i fatti sopra elencati. E sul quale la riflessione è continua e senza sosta. Perché si muove nella direzione di un viaggio senza ritorno che può alterare una volta per tutte il ritmo e la qualità della nostra vita di esseri umani. E che come donna e studiosa di filosofia mi spaventa a morte. A ben vedere però non preoccupa solo me. In questa direzione infatti vanno le interviste rilasciate proprio in queste ultime settimane dal filosofo Noam Chomsky, dal regista Steven Spielberg e perfino dal cardinale Gianfranco Ravasi che alcuni giorni fa a Roma al Centro Studi Americani ha espresso grande perplessità sulla situazione attuale. Tutti costoro con motivazioni e modi differenti, pur non avendo paura, esprimono infatti preoccupazione sul percorso che viene seguito nell’evoluzione dell’A.I. (Artificial Intelligence) e sulla rivoluzione che seguirà al suo veloce espandersi senza alcun freno o regolamentazione. E sull’assenza di pesi e contrappesi che potrebbero servire a controbilanciare la sua progressiva e velocissima implementazione e a controllare i confini tra l’umano e il macchinico.
Chi di noi non ricorda nel film di Spielberg A.I. Artificial Intelligence la scena in cui il mai abbastanza compianto William Hurt, nei panni del professor Hobby, chiede alla macchina, il mecha che ha appena inventato, che cos’e l’amore? Rinfreschiamoci la memoria con le parole di risposta del robot femminile che parla delle reazioni fisiche che un tale sentimento, del quale non sa assolutamente niente, le provoca: “L’amore prima mi fa aprire un poco gli occhi … e rende il mio respiro affannoso e mi scalda la pelle e…”
Hobby pensa allora che deve creare una nuova macchina: “Propongo di costruire un bambino-robot che sia capace di amare genuinamente un genitore o ambedue i propri genitori con un amore infinito che non morirà mai… Un mecha con una mente fatta di feedback neuronali. Vedete, per quello che io suggerisco, l’amore, è la chiave… attraverso la quale essi acquisiscono un certo tipo di subconscio che fino ad ora non avevano mai posseduto. Un mondo interiore di metafore, di intuizioni, un modo di ragionare autonomo, fatto di sogni”. E cosi nasce David, il mecha programmato che ama autonomamente per un tempo infinito. Ed è proprio questa possibile autonomia a spaventare Spielberg il quale, alcuni giorni fa, in un’apparizione nel programma di intrattenimento serale con Steven Colbert si è dichiarato preoccupato che l’intelligenza artificiale possa rubare l’anima creativa degli umani. “Penso che l’anima sia inimmaginabile e ineffabile. E non può essere creata da un algoritmo, è qualcosa che esiste in ognuno di noi. Rischiare di perderla perché i libri, i film e la musica sono scritti da macchine che abbiamo creato noi? Ebbene ciò mi terrorizza” ha concluso il regista echeggiando con le sue parole qualcosa che avrebbe potuto dire Kant con il suo individuum ineffabile.
È questo giocare a fare Dio, ad asserire una sorta di onnipotenza che spaventa in generale. È quello che temono di più per motivi assai diversi sia Chomsky che Ravasi il quale citando Pascal ci riporta alla continua capacità umana di perfezionarci e di migliorarci senza perdere di vista la coscienza, la consapevolezza che ci rende capaci di fermarci quando è il momento. Questo può accadere solo se il filosofo e lo scienziato, afferma il cardinale, si parlano e stabiliscono i confini delle loro scelte e del loro agire. La mancanza di questi confini è la stessa che può travolgere l’umanesimo. Per Chomsky invece è l’indifferenza morale dell’intelligenza artificiale a renderla “qualcosa di pericoloso, qualcosa di simile alla banalità del male”.
Alle preoccupazioni di questi signori a cui tuttavia si potrebbe obiettare che sono tutti abbondantemente al di sopra dei 70 anni e che dunque hanno poca familiarità con la tecnologia si aggiungono però quelle di Elon Musk che di anni ne ha molti meno e che di tecnologia invece se ne intende. E parecchio. In un’intervista di alcune settimane fa rilasciata a Tucker Carlson, proprio prima che quest’ultimo fosse licenziato da Foxnews, ha espresso grande inquietudine rispetto al fatto che ci si stia muovendo troppo in fretta e che l’A.I. “con il passare del tempo e senza nessun controllo possa prendere il sopravvento e abbia il potenziale di distruggere la nostra civiltà”. Sono parole da futuro distopico che fanno davvero paura. Musk che inizialmente ha investito su OpenAi da cui è nata quella ChatGPT, di cui si fa un grande parlare di questi tempi e dove GPT sta per Generative Pretrained Transformer, è oggi davvero seriamente allarmato da cosa sta accadendo. ChatGPT è infatti un dispositivo di intelligenza artificiale che serve a diffondere e rendere popolare questa tecnologia tra il pubblico. Soprattutto nei social media. L’imprenditore, proprietario di Twitter, ha inoltre affermato proprio nell’intervista a Carlson che sta sviluppando un dispositivo dal significativo nome di TruthGPT per controbilanciare ChatGPt di cui teme la disseminazione fuori controllo e senza alcuna regolamentazione.
Alcuni giorni fa il settantacinquenne creatore dell’intelligenza artificiale, il britannico canadese Geoffrey Hinton vincitore nel 2018 del premio Turing, si è dimesso da Google, adducendo il fatto che esistono gravi pericoli che possono scaturire dallo sviluppo di questa tecnologia. In particolare, lo scienziato si riferisce alle chatbots, cioè a quei dispositivi di software che permettono di simulare ed elaborare le conversazioni umane, consentendo agli utenti di interagire con dispositivi tecnologici come se fossero umani. “Adesso- ha detto Hinton alla BBC alcuni giorni fa- non sono più intelligenti di noi, per quanto vi posso dire. Ma penso che lo saranno molto presto”. E secondo lo scienziato è difficile immaginare che un organismo più intelligente accetti di essere controllato da uno che lo è di meno.
Hinton, che ha modellato l’intelligenza artificiale su quella umana, attraverso cioè quel deep learning tipico della nostra specie, ha ammesso tuttavia che Il loro tipo di intelligenza è molto diverso dal nostro. “Noi siamo sistemi biologici, mentre loro sono sistemi digitali. E la grande differenza sta nel fatto che con il sistema digitale si hanno molte copie dello stesso set di pesi, lo stesso modello di mondo. E tutte queste copie imparano separatamente, ma condividono il loro sapere istantaneamente. È come se tu avessi 10.000 persone e quando una di esse ha imparato qualcosa tutti gli altri automaticamente ne vengono a conoscenza allo stesso tempo. È per questo che le chabots riescono a sapere molto più di una persona”.
Ed è ancora per questa loro capacita di apprendimento che si velocizza in modo esponenziale che urgono misure di controllo e di regolamentazione. Quelle stesse misure che due giorni fa Joe Biden, Bernie Sanders ed Elon Musk hanno richiesto ai grandi giganti dell’A.I.
Sebbene Hinton non condivida lo stesso tipo di timori che possono avere i governi è tuttavia cosciente che politicamente ci sono molti pericoli. Al di là di quelli che possono essere i valori morali ed esistenziali che preoccupano da un lato Chomsky e dall’altro Ravasi e che di sicuro esistono e non sono secondari “questa roba –afferma Hinton- aiuta i governi autoritari a distruggere la verità o a manipolare l’elettorato. E avere a che fare con queste minacce in una situazione dove gli americani non riescono nemmeno a trovarsi d’accordo sulla proibizione di vendere le armi ai teenager, può rappresentare un problema davvero grave. A Uvalde (il massacro del 2022 dove 21 persone furono uccise in una scuola elementare in Texas), c’erano 200 poliziotti che non hanno nemmeno tentato di aprire una porta perché dall’altra parte c’era un tipo con un fucile a ripetizione con il quale stava ammazzando dei bambini. E tuttavia a livello legislativo non si riesce a decidere di bandire la vendita delle armi pesanti. Un sistema politico totalmente disfunzionale come questo non è certo l’ideale per avere il compito di occuparsi di problemi essenziali come questi”.
A loro, non a caso tutti uomini, però mi viene spontaneo obiettare che l’amore, la moralità l’umanità, l’interazione dei corpi in uno spazio condiviso erano stati evocati in passato da Hannah Arendt che, non certo parlando dell’intelligenza artificiale, ma della politica e della sua evoluzione, aveva tuttavia sgombrato il campo da molti equivoci e chiarito molti punti di vista che oggi divengono essenziali anche alla luce dell’intelligenza artificiale. Ed era rimasta completamente ignorata e inascoltata. Aveva coniato non a caso l’espressione banalità del male di cui parla Chomsky, riferendosi all’intelligenza artificiale, con la quale aveva condannato l’indifferenza morale dei nazisti nel perpetrare i loro crimini contro l’umanità e aveva chiarito cosa è a chi è indirizzato l’amore, perché sono importanti i valori morali che devono contraddistinguere la politica e l’umanità. Ma le voci femminili, ormai si sa, tardano ad essere ascoltate e quando lo sono è ormai troppo tardi…
Mi ritorna in mente quando molti anni fa, precisamente nel 1996, alla luce degli insegnamenti di Arendt scrissi il mio saggio Passing. Dissolvere le identità, superare le differenze parlando della fluidità identitaria e obiettai rispettivamente a Donna Haraway e al caro amico Mario Perniola la freddezza del cyborg (cyber organism) e de la cosa che sente che seppure nel loro intento democratico di esprimere un sentire disseminato, avevano purtuttavia il demerito, almeno ai miei occhi, di essere entità troppo macchiniche, troppo fredde, che non avevano il calore liquido del sangue che scorre nei corpi umani, che sono fatti di carne, e hanno un sentire organicamente fluido fatto di alti e bassi, regolato non sempre sulla base del principio try and change. Che vanno sempre avanti, sono soggetti all’invecchiamento e alla morte. Che sono corredati di una capacità di commettere sì errori, ma anche di migliorarsi, di procedere tra gioie, sconfitte e delusioni, o di perseverare nello sbaglio, di non fissarsi su qualcosa che sanno bene non potranno mai possedere in eterno come l’amore del mecha David. Che sono capaci di sentire il calore di quelle che senza essere perfettamente lineari o razionali Lucio Battisti in un suo famosissimo pezzo delineava senza certezze: “Tu chiamale se vuoi emozioni…” e che una macchina non riuscirà mai a sentire con l’imperfezione, ma anche con la passione degli umani.
La guerra ispirò gli artisti, rari i pacifisti. Ora è un videogioco