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di Giampiero Rasimelli

Agrigento, con i comuni del suo territorio e con Lampedusa, è stata scelta dalla preposta commissione del Ministero della Cultura come Capitale Italiana della Cultura per il 2025.
Un territorio, l’Agrigentino, difficile e bellissimo, come tutta la Sicilia, un’isola, Lampedusa, iconica e tragica negli anni delle migrazioni clandestine letteralmente inghiottite dal mar Mediterraneo e dai mercanti di esseri umani. Un Sud intriso di alta cultura, potenziale turistico, arretratezza, malaffare contenuti in uno spazio ambientale straordinario da difendere e promuovere a tutti i costi.
Una scelta che è una sfida, che va sicuramente raccolta, da chi l’ha lanciata, da tutto il Sud bagnato dal Mediterraneo e dall’intero paese. Ma su questo meccanismo di assegnazione della Capitale Italiana della Cultura ormai pesa più di una perplessità (non solo mia, ma, tra gli altri, anche del Sottosegretario Sgarbi, mi pare) che spero il Ministero della Cultura vorrà chiarire già a partire dalle prossime decisioni. Va benissimo un’alternanza tra città del Sud e del Centro Nord, ma non è chiaro, ad esempio, se possano essere più territori insieme ad avanzare la candidatura. A mio avviso è e sarebbe un fatto positivo. Quando insieme Perugia e Assisi si candidarono a Capitale Europea della Cultura per il 2019 vennero sollevate obiezioni, nonostante vi fosse già stato l’esempio di Essen e della Ruhr. L’idea di candidare un sistema territoriale e la sua ricchezza è proprio parte del concetto della candidatura europea. In Italia non sempre è stato seguito questo criterio, poi, di recente, sono state promosse e scelte per Capitale Italiana della Cultura le candidature congiunte di Bergamo e Brescia e oggi di Agrigento e Lampedusa. Questo è stato sicuramente un problema per l’ Umbria che in passato ha visto bocciata la candidatura Europea, come si è detto, di Perugia-Assisi in favore della bellissima Matera e che oggi vede respinte le candidature italiane di ben tre gioielli umbri della cultura italiana, ancora Assisi e poi Orvieto e Spoleto.
Non si vuole certo fare confusione tra i percorsi di candidatura a livello europeo o nazionale, né si vuole sollevare una questione di campanile, ci si interroga sulla chiarezza e continuità dei criteri che presiedono alle scelte finali e questo vale sia per i format, che per le dimensioni dei territori presi in esame, che, infine, per i contenuti progettuali delle proposte di candidature che vengono selezionate. Ha detto il Ministro Sangiuliano che essere Capitale della Cultura per un anno “consente di accendere i riflettori sulle realtà territoriali”. Una grande ricchezza dell’Italia, per la sua storia, per gli straordinari patrimoni culturali che ne sono lascito e testimonianza viva e che costituiscono un fattore assoluto a livello mondiale. L’Umbria è sicuramente uno degli scrigni più preziosi di questo grande patrimonio italiano e nel corso degli anni ha dimostrato di credere molto nel processo di candidatura con ben 4 tentativi, che per una regione di 800.000 abitanti non sono poca cosa. Tutti tentativi non solo legittimi e ben motivati, ma espressione di eventi, progetti e ricorrenze di valore mondiale che sono sotto gli occhi di tutti. Basti citare i centenari francescani, proprio nel 2025 cadrà quello del “Cantico delle Creature” di Francesco, l’eterna poetica che mai come oggi parla al
presente e al futuro dell’umanità, nonché atto fondante della lingua italiana. O ancora il fatto che nell’anno corrente si celebra il cinquecentenario della morte di Piero Vannucci detto il “Perugino”, “il meglio Maestro d’Italia” uno degli apripista dell’epoca rinascimentale, con una eccezionale mostra organizzata presso la Galleria Nazionale dell’Umbria. Insomma, l’Umbria dei percorsi religiosi, dei patrimoni pittorici e monumentali del Medio Evo e del Rinascimento, l’Umbria dell’Università e dell’Accademia d’Arte tra le più antiche al mondo, l’Umbria dei Festival, dai Due Mondi di Spoleto a Umbria Jazz (che quest’anno fa cinquanta anni di vita), dalla Sagra Musicale Umbra, al Festival delle Nazioni di Città di Castello, al Festival Internazionale del Giornalismo (che ne 2026 festeggerà il suo ventennale), l’Umbria di uno dei sistemi museali più ricchi e prestigiosi d’Italia, questo territorio merita certamente il riconoscimento di essere per un anno Capitale Italiana della Cultura e di essere spinta da questo traguardo non tanto ad ottenere il premio di 1 milione di euro, ma a costruire un progetto di rilancio della cultura come risorsa dello sviluppo per un territorio in crescente difficoltà e tuttavia ancora ricco di importanti energie di innovazione e crescita. Certo, non è solo la non chiara interpretazione dei criteri di scelta del Ministero della Cultura la causa del mancato esito delle candidature umbre. Probabilmente è mancata la necessaria coesione (tre candidature singole certamente non hanno aiutato), un’ancora insufficiente sistema di
relazioni costruito attorno alle candidature, una non eccezionale campagna di comunicazione attorno alle candidature stesse e probabilmente una infelice scelta delle tempistiche delle diverse candidature. Forse è mancata e manca una progettualità della Regione nel coordinare le candidature con un progetto e una strategia vincente. Ma sarebbe bene riflettere su tutto questo, perché per l’Umbria non è una cosa secondaria. Non si tratta di mettersi una medaglia al collo, ciò che importa è se la questione cultura diventa definitivamente e conseguentemente una priorità delle politiche di sviluppo della nostra regione, un terreno di confronto col Governo nazionale e con l’Europa. Questo è quello che conta e che da oggi ha un motivo in più per essere analizzato e posto sul tavolo del confronto politico e istituzionale. Si parla tanto e non sempre a proposito, di modifiche ad alcuni impianti progettuali del PNRR, sicuramente in Umbria un grande progetto cultura, promozione ambientale e turismo, potrebbe contribuire ad un efficiente utilizzo delle risorse europee
e alla loro spesa produttiva.
Sarebbe bello se il capoluogo Perugia, Assisi e l’Umbria intera (a partire da Spoleto e Orvieto) potessero candidarsi come sistema regionale a Capitale della Cultura Italiana per il 2026, anno nel quale presumibilmente la scelta sarà per un territorio del centro-nord … Sarebbe una bella sfida!