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di Sud

Nel 1884 Napoli fu colpita da un’epidemia di colera. Il presidente Depretis visitò la città e in un celebre discorso sostenne che un vero risanamento era possibile solo a una condizione: “sventrare Napoli”. Matilde Serao ha ventotto anni, è a Roma e lavora come
giornalista tuttofare al “Capitan Fracassa”. Letta la frase non si fa sfuggire l’occasione e pubblica nove articoli che fanno scalpore, tanto da spingere il grande editore Treves a farne un libro.
Nasce così Il ventre di Napoli (titolo che deve molto anche al Ventre di Parigi di Zola, uscito una decina di anni prima). Lo “sventramento” si attuò nel ventennio seguente, con la realizzazione del “Rettifilo”, una moderna strada che si limitò a nascondere dietro i suoi solenni palazzi, come un paravento, le antiche miserie. Matilde nel frattempo ha fondato con Scarfoglio “Il Mattino”, e pubblica la seconda edizione con tre nuovi capitoli.
Il terzo capitolo del libro si intitola Quello che mangiano, e descrive i cibi che i napoletani possono permettersi per uno, due e quattro soldi. Tra i primi, ovviamente, la pizza, che a Matilde ispira questo squallido ritratto: «di una pasta densa, che si brucia, ma non si cuoce, cariche di pomidoro quasi crudo, di aglio, di pepe, di origano…tagliate in tanti settori da un soldo…che si gelano al freddo, che s’ingialliscono al sole, mangiati dalle mosche».
Matilde racconta anche il fallimento della prima pizzeria aperta da un napoletano a Roma: «Sulle prime la folla vi accorse; poi andò scemando. La pizza, tolta al suo ambiente napoletano, pareva una stonatura e rappresentava una indigestione; il suo astro impallidì e tramontò, in Roma; pianta esotica, morì in questa solennità romana». Oggi Roma è la città d’Italia con il maggior numero di pizzerie: ce ne sono 15.500, contro le 8.200 di Napoli.