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di Stefano Ragni

La giornata dell’undici novembre ha certamente costituito un evento da ricordare nella microstoria di Deruta, piccolo centro della medi valla del Tevere giustamente conosciuta per le ceramiche che ornano musei di tutto il mondo. Ma per noi studenti di Conservatorio il nome della piccola cittadina collinare era universalmente noto per un musicista che alla fine del Cinquecento fece risuonare in ogni dove il suo nome. Parliamo del trattato Il Transilvano e del suo autore, frate Girolamo da Diruta.
Quando in Conservatorio si studiava storia della musica tutti lo citavano, anche se poi nessuno di noi lo aveva mai sfogliato, né avrebbe in futuro la più pallida intenzione di farlo.
Solo gli esperti votati al culto dell’organo e della relativa musica avrebbero avuto i titoli per aprire un librone che, alla fine del secolo di Michelangelo e di Leonardo da Vinci, ti spiegava come avvicinarti a questi nuovi strumenti che cominciavano a farla da padroni, organi, appunto, e tastiere a penna, i queruli e orgogliosi clavicembali, rumorosi e starnazzanti come pavoni beffardi e prepotenti. Ad agitare le acque a quattro secoli dalla sua esistenza è stato un singolare seguace di frate Francesco, un conventuale, frate Girolamo Venturi che mutò il nome secolare in Diruta, in ossequio alla sua città natale.
La notizia è che, nei giorni in questione, un piccolo, agguerrito nucleo di cittadini, Carlo Segoloni in testa, musicista in forza al Conservatorio Cherubini di Firenze, aveva annunciato di aver individuato nel mercato antiquario di New York una copia del Transilvano e di aver manifestato l’intenzione di acquistare la pubblicazione per farne oggetto di vanto museale nella città del suo autore. E questo, per noi musicisti, equivarrebbe a riportare a casa un perugino trafugato da Napoleone.
Detto fatto, Segoloni, in cordata con l’ingegnere Paolo Zucconi, presidente della associazione S. Anna e il coro “Girolamo da Diruta”, diretto da Lucio Sambuco hanno costituito una cordata di virtuosi che ha messo mano al portafoglio per mettere insieme la somma necessaria per l’acquisto. Tanto da convincere l’antiquario Lubrano ad accettare un diritto di prelazione sull’opera in attesa del completamento della somma necessaria per la definitiva acquisizione.
La segnalazione della presenza in catalogo di un’opera di tale rilevanza per noi Umbri era partita da un esperto di musica antica, Luce Moretti, che ha girato subito informazione a Segoloni. Che il gruppo di derutesi si sia mosso con tempestività è già operazione degna di nota, ma quel che rende più affascinante il percorso iniziato è che Segoloni e compagnia, si sono fatti ambasciatori di virtù presso una musicista di rilievo mondiale, la pianista Angela Hewitt, pianista stellare che, con residenza in Canada e a Londra, ha preso dimora anni fa a Passignano, dove nei mesi della prima estate si ritira in una qualche villetta immersa nel verde palustre.
Non solo, sulle rive del Trasimeno, acqua infida, sempre pronta a farsi fango, la Hewitt ha creato un suo festival, chiamandolo, neanche a dirlo “Trasimeno”, emula forse di quei versi che, dal lato di ponente Byron dedicò alla rive insanguinate del luogo dove avvenne l’eccidio dei romani del console Flaminio. Niente di romantico: i Quiriti concepivano la guerra solo come “gioco” leale e con regole certe, mentre gli infidi Fenici di Annibale sapevano giocare di astuzia. Di qui il topico massacro.
Ed ecco la proposta: farsi la Hewitt testimone di una iniziativa culturale che da locale poteva riverberarsi nell’intero atlante della grande musica, e prestarsi, con la sua altissima statura di interprete a una serata di raccolta fondi offerta, da lei, a titolo assolutamente gratuito.
Ed è infatti quello che è accaduto nella serata novembrina ancora riscaldata da un tepore di estate tardiva, con la chiesa di san Francesco piena di gente disposta a sorbirsi l’ora e un quarto di Variazioni Goldberg di Bach. Non c’è andata sul sottile la grande pianista canadese, ma lei sa di essere una delle interpreti più accreditate della musica del Cantor, e se c’è da fare un avvenimento, bisogna pur calcare sulla eccezionalità della richiesta. Ed è anche un modo di farsi celebrare nel registro delle res gestae del concertismo umbro. Chissà che con questo suo gesto di generosità la Hewitt non entri in qualche romanzo di ambientazione umbra, o magari un film, girato da un cineasta alla ricerca del successo mediatico che qualcuno ha saputo trovare non troppi anni fa, nella vicina Cortona. Molte aziende agrarie, resort e agriturismo benedicono ancora gli effetti del film Sotto il sole di Toscana che dal 2003 è stato un volano di economia per tutto il territorio che si stende sotto l’antica lucumonia etrusca.
Ora, le cronache dicono che nonostante la chiesa francescana fosse gremita, la somma raccolta nella serata novembrina non arrivava ancora a coprire la totalità della somma da sborsare all’antiquario in questo dicembre. Sembra che un cospicuo contributo sia stato promesso, a operazioni iniziate, anche dalla amministrazione comunale di Michele Toniaccini, presente in forma privata al concerto, ma ancora è solo una dichiarazione di intenti. Giocoforza: i promotori dell’iniziativa hanno rimesso mano alle loro sostanze e in qualche modo si sono esposti finanziariamente per onorare l’impegno preso.
Comunque, molti dei presenti al bel concerto della Hewitt, caratterizzato da una esecuzione ben tornita, nitida nei contrappunti, con momenti di raffinata riflessione stilistica in relazione alle esigenza della modernità, sonora nella dimensione volumetrica, si saranno chiesti, in fin dei conti, cosa c’entrasse questo nome esotico di Transilvano, evocatore di vampiri per la vulgata, o, per i più colti, una reminiscenza della sanguinaria principessa Elisabeth Bàthory, magnate ungherese del ramo degli Ecsed.
Apparteneva invece al ramo dei Somlyò il Transilvano di Diruta. Ambedue, la vampiressa e il dedicatario dell’opera di frate Girolamo erano nipoti di Stefano primo re di Polonia, il cattolicissimo trionfatore sullo zar Ivan il terribile, ma Sigismondo, in grafia Zsigmond, era figlio del voivoda di Transilvania, Cristoforo, aveva una madre protestante, un confessore gesuita, padre Antonio Carillo, ed era stato allevato tra gli agi e le delizie dei musici italiani che allietavano la sua corte. La dedica a questo oscuro, lontano e marginalissimo principe di un trattato sugli strumenti musicali va contestualizzato nelle lunghe guerre di religione che portarono al conflitto devastante che per trent’anni afflisse l’Europa centrosettentrionale. Diruta era, d’altra parte, un uomo colto.
Lasciata la nativa cittaduzza dove era nato nel 1545 Girolamo aveva cantato messa a Correggio, dove aveva potuto studiare la musica con Claudio Merulo, Costanzo Porta e Gioseffo Zarlino. Una bella formazione che gli valse la nomina a organista a Gubbio e, dal 1586 all’89, l’incarico delle tastiere alla prestigiosa basilica santa Maria Gloriosa dei Frari di Venezia, dove da poco Tiziano aveva dipinto la pala dell’Assunta. In seguito, dal ‘93 sarà maestro al Duomo di Chioggia.
In laguna frate Girolamo stese nel 1593 il suo trattato intitolato “Dialogo sopra il vero modo di suonare organi e istrumenti a penna”, ovvero clavicembali e spinette. In esso, in fittizia conversazione con Istvan Josika, diplomatico transilvano in missione preso le corti italiane, padre Girolamo spiega tecniche di esecuzione, parla di registri ed elenca una grande quantità di musiche dei suoi contemporanei. Il successo fu tale da convincere l’ editore Giacomo Vincenti a pubblicare altre edizioni nel 1597, nel 1612 e nel ’23. Ora la dedica della prima parte del Dialogo al principe di Transilvania è speculare a quella della seconda parte, datata 1610 e indirizzata a Leonora Orsini Sforza, nipote del granduca Ferdinando primo di Toscana.
L’interlocutore del Dialogo, Josika, era un personaggio di rango, ed era stato inviato a Firenze da Sigismondo Bathory per chiedere la mano di una principessa Medici. La missione arrivò tardi perché la fanciulla era già stata destinata ad altre nozze, e al ritorno, Istvan, che era comunque un nobile istruito, con ogni probabilità sostò a Venezia per cercare maestri in grado di istruire i musici che già ornavano la corte dei Bàthory. Si sa da una “Descrizione della Transilvania” del bresciano Pietro Busto che anche in quel paese che confinava col baratro dell’impero ottomano, la musica italiana era di casa.
Niente di più logico supporre che la dedica per interposta persona all’esotico principe, costretto a barcamenarsi tra il gigante turco, l’impero degli Asburgo, la Confederazione Polacco-lituana e la Moldova, possa essere stata inserita in un grande gioco di diplomazia.
Nato nel 1581 nella attuale Orodea, oggi in Romania, Sigismondo, eletto per volere del padre voivoda di Transilvania fu costretto dalla Dieta a maggioranza protestante, a espellere i gesuiti. Papa Sisto Quinto lo scomunicò, ed appena un anno dopo, nel 1590, Sigismondo li riammise. Contro il parere dei suoi consiglieri riformati il principe, che era da sempre vassallo dei turchi, entrò nella Lega Santa. Nonostante la vittoria di Giurgiu lo avesse reso famoso, il principe fu costretto a rinunciare, dopo varie abdicazioni, ai suoi poteri in favore dell’imperator Rodolfo, accettando come risarcimento una proprietà in Boemia dove si ritirò fino alla morte, avvenuta nel 1602.
Piccola pedina della cristianità nello scacchiere balcanico Sigismondo si sarebbe ben meritato una dedica di carattere musicale, anche se il frontespizio della edizione a stampa lo indicherà solo, asciuttamente, come “Serenissimo principe di Transilvania”.
Riavvicinare Deruta a questo antico scacchiere della politica europea del passato con la acquisizione della copia del Transilvano del mercato antiquario americano è stato il tassello finale di un mosaico che il maestro Segoloni aveva cominciato a intessere già nel 2011 quando aveva promosso due giorni di studi dedicati al concittadino del passato: il 9 e il 10 settembre a Deruta si era tenuto un convegno di studi presieduto da Biancamaria Brumana, illustre cattedratica dell’ateneo perugino a cui si deve anche la curatela dei relativi atti pubblicati dalla amministrazione comunale nel 2012.
E’ stata certamente questa la credenziale che ha convinto l’antiquario Lubrano della serietà della prelazione espressa dai postulanti derutesi, rendendolo partecipe della necessità di togliere l’edizione dalle possibilità d acquisto da parte di un pletora di melomani disposti a fagocitarsi la rarissima edizione: quelle che si conoscono sono già collocate in musei e istituzioni universitarie e solo in Italia ce ne sono almeno sei. Ma quel che rende particolarmente appetibile la copia di Lubrano è il fatto che un opportuno “ex libris” testimonia della sua appartenenza alla biblioteca di Theofilus Muffat, il padre del celebre organista tedesco Georg. Indizio della diffusione dell’opera derutese nel mondo degli studiosi centroeuropei.
Forte di questa consapevolezza Segoloni e l’ingegnere Zucconi, nel pomeriggio precedente il concerto della Hewitt avevano promosso un momento di riflessione critica con un personaggio autorevolissimo della musicologia e della organologia internazionale, il professor Renato Meucci, accademico di santa Cecilia. Affiancato dalla professoressa Brumana il professor Meucci ha spiegao in maniera molto efficace come considerare oggi la riappropriazione di una copia del Transilvano da parte della città del suo autore.
Ma c’è di più.
A sorpresa, a fine dibattito, Segoloni ha sfoderato la copia originale di una lettera di padre Girolamo donatagli, pochi giorni fa, dagli eredi dell’avvocato Mazza, noto bibliomane perugino. La missiva è datata primo febbraio 1602, ma Meucci ha subito spiegato che, more veneziano vada intesa come 1603; in essa, con molta gentilezza, padre Girolamo spiega ai confratelli derutesi che lo rivolevano nella città natale, che sarebbe stato molto difficile per lui lasciare l’incarico a Chioggia, dove guadagnava 120 ducati, per la misera cifra che gli era stata proposta.
Allo stato delle cose, i giorni per l’arrivo del Transilvano a Deruta sono al conto alla rovescia. La copia del 1625 è già in viaggio e potrebbe essere già in prossimità della disponibilità degli acquirenti.
Intanto per questo sabato sera, alle 21 Segoloni e sodali propongono a san Niccolò di Celle un concerto d’organo. Sullo storico strumento Morettini, illustre famiglia di organari perugini dell’Ottocento alcune pagine di Diruta saranno suonate da un personaggio di eccezione, l’organista ungherese Istvan Batori, una semplice omonimia che fa comunque impressione.
Indi il 15 mattina, a partire dalle 9 e trenta, il Museo Regionale della Ceramica ospiterà un convegno di studi su Francesco Briganti, centocinquaenta anni dalla nascita, insigne figura di notaio e storico, nonchè bibliotecario della Comunale Augusta che si ricorda anche come autore di alcuni cenni biografici su Diruta.
Tra i relatori Mario Squadroni, presidente della Deputazione di Storia Patria, il sindaco Toniaccini l’assessore Montagnoli, il presidente Zucconi e l’assessore Leonardo Varasano, dal momento che, non dimentichiamolo, frate Girolamo si definiva “perugino”. Il percorso notariale sarà ricordato da Antonio Bartolini, docente di diritto amministrativo dell’ateneo, mentre Biancamaria Brumana saprà ben sottolineare l’aspetto delle ricerche musicali di
Briganti che è anche autore di uno studio biografico su Andrea Angelini Bontempi, grande compositore perugino dell’età Barocca.
Resta l’attesa per la esposizione della copia, e, soprattutto sulla sua futura collocazione.
In ogni caso l’Umbria, grazie a Segoloni, a Zucconi e ai soci del s. Anna riacquista una tassello del suo patrimonio artistico.