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di Stefano Ragni

La città delle idee. E questa fra le cinquantacinque città elencate nel dialogo tra Marco Polo e il Kublai Khan proprio non c’è. Tra le non poche presenti nello splendido cartellone della settantottesima edizione della Sagra Musicale Umbra ne mancherebbe una, Bisanzio. Chiamatela come volete, ma oggi, come ci fa vedere la politica internazionale, senza Costantinopoli-Istambul lo scacchiere europeo è immobile. Non a caso è stato osservato che senza Bisanzio non ci sarebbero stati il Rinascimento italiano e la Russia, e senza la Russia non ci sarebbe stata l’Europa
stessa.
Prendendo come spunto ispiratore il romanzo di Calvino, Le città invisibili, che è del 1972, Enrico Bronzi, attuale direttore artistico della Sagra, ha voluto firmare il cartellone più ricco della sua gestione. Con una profluvie di appuntamenti dall’8 al 23 settembre, con relatori di rilievo, studiosi, complessi di prestigio, tutti i cori del territorio, e la replica del Concorso di composizione dedicato alla memoria di Francesco Siciliani, il padre di tutte le Sagre.
Perugia Musica Classica, la fondazione che ha come presidente Anna Calabro, e che gestisce Amici della Musica di Perugia e Sagra, mantiene innanzi tutto il rapporto con una ampia sezione della regione, da Assisi, Montefalco, Sangemini a Scheggino e Torgiano. Tornando in luoghi della storicità artistica umbra, dalla basilica di san Francesco, all’abbazia di san Niccolò, alla chiesetta del Crocefisso, al san Francesco di Benozzo Gozzoli e del Perugino. Ma sono ancora una volta le parole a rendere preziosa anche questa edizione, come quelle della serata iniziale, affidata a Paolo Nori. Hanno cercato di farlo tacere quando ha voluto parlare di letteratura russa, e gli hanno fatto solo un piacere, consegnandolo alla notorietà. L’8 pomeriggio il professor Nori aprirà i lavori nel luogo più storico e accreditato possibile, l’aula magna dell’Università per Stranieri, la Betlemme della musica perugina. Tutti sanno come dai corsi di Storia della Musica tenuti a palazzo Gallenga dal conte e senatore Guido Visconti di Modrone tra il 1935 e il ’36, nacque nel ’37 la Sagra musicale dell’Umbria (questa la prima dizione), come esemplificazione degli argomenti delle lezioni. In seguito, a democrazia ripristinata, il commissario straordinario Aldo Capitini, conferì a Francesco Siciliani l’incarico del primo corso di Storia della musica, in attesa che maturassero i tempi per il ripristino della Sagra nel 1947. In questa aula magna, in stile vagamente, ma solennemente sepolcrale, vera “cappella” del mito fascista della Fondazione di Roma, marmi di Trani, pietra di Verona, campeggia la scritta virgiliana Antiquam exquirite Matrem.
Quando fu edificata dall’architetto Dino Lilli, la mediazione del sovrintendente Achille Bertini Calosso consentì, nel 1935, di dotare l’antico palazzo degli Antinori di una degna sala di rappresentanza, ma i soldi li aveva messi il ricco mecenate californiano Frederic Thorne Rider, ammirato della funzione internazionale del piccolo ateneo perugino. Con una somma ingente messa generosamente a disposizione fu possibile ampliare il palazzo entrato in possesso dei Gallenga Stuart nelle forme attuali. Auspice la presenza di Capitini e la preziosa consulenza di Siciliani, il Comitato anglo-italiano dei concerti, si trasformò tra questi marmi, il 9 giugno del 1946, in Amici della Musica.
Nori nel pomeriggio dell’8 parlerà di Dostoevskij di Tolstoi, Blok, della Achmatova, della Settima sinfonia Leningrado di Shostakovic, indentificandoli con la città delle “notti bianche”, San Pietroburgo, l’avamposto verso l’occidente voluto da Pietro il grande. Che non disdegnò, anzi richiese esplicitamente l’invio di maestranze veneziane per impiantare il suo porto. Ecco allora, l’11 settembre, riaffacciarsi alla Stranieri Paolo Carminati, già l’anno scorso molto apprezzato, a parlare del Canaletto e delle sue vedute lagunari. Il giorno dopo sarà la volta di Enrico Tombesi, ingegnere della mente, a parlare di intelligenza artificiale, utilizzando la figura di Beethoven per un dialogo immaginario. Paolo di Paolo, il 13, darà vita a un concerto letterario sulle Lezioni americane di Calvino, valendosi del violoncello di Bronzi per musiche di Bach, Ligeti, Dowland e Dallapiccola. Non dimentichiamo che nel 1947, per i concerti della Army School of Education promossi dalla VIII Armata Inglese di stanza al Gallenga, nella aula magna, Pietro Scarponi realizzò la prima esecuzione della Sonatina canonica dello stesso Dallapiccola. Il 18 torna una scienziata, Cristina Mecucci, ordinario di ematologia dell’Università degli studi perugina, a parlare dei primi settanta anni del DNA.
Sull’onda dell’indiscutibile successo della mostra su Perugino, la Sagra sale le scale della Galleria Nazionale dell’Umbria, già sede per un quarantennio dei concerti degli Amici della musica sino all’anno del rogo di Todi, per un vero colpo di mano contro i muri della storia. Finalmente nella sua città si parlerà di Matteo da Perugia, il musicista dell’Umanesimo, il cultore della polifonia fiorita e dell’ Ars subtilior. Una mattinata di studi e un concerto del complesso La fonte musica per ascoltare finalmente la sua produzione esposta con criteri scientifici e collocata all’interno di un luogo che parla, coi suoi quadri, del più bell’Umanesimo possibile. Ricordiamo quando più di una volta venivano a Perugia studiosi americani per trovare tracce della sua presenza e rimanevano scornati, perché tutta la vita di Matteo si è svolta a Milano. Finalmente Paolo Scarnecchia della Università del Mediterraneo, guiderà una squadra internazionale di studiosi nella attesissima rivalutazione.
La biennalità del concorso di composizione sacra dedicato a Siciliani, continuerà, con la sua scadenza propizia, a ricordare una figura indispensabile nella valutazione di uno dei più grandi intellettuali che abbia messo le sue capacità al servizio della musica. uomo di cultura immensa, non fu solo un demiurgo e un direttore di quanto di meglio possedesse in fatto di teatri il nostro paese, ma, nella sua città, ha voluto che la Sagra non fosse solo un festival, ma assumesse il ruolo di una sede espositiva di idee culturali, di stimoli e suggerimenti che, testati a Perugia, venivano poi irradiati ovunque. Sin dalla sua prima edizione, il segretario del Concorso, il compositore Marcello Filotei, ha rappresentato il ruolo rivestito dal Pontificio Dicastero de cultura et educazione, imprimendo sulla competizione il sigillo di una confessionalità che si esplicita nella scelta dei soggetti: quest’anno la preghiera dell’Agnus Dei. Esaurito il Proprium della Messa latina, per il futuro, ricordando la militanza capitiniana di Siciliani, sarà opportuno desacralizzare il contesto e laicizzare il messaggio che la Sagra, nella sua universalità, ha lanciato al mondo intero.
Supporto indispensabile del Concorso sarà ancora una volta Gary Graden, figura importantissima della coralità europea, musicista americano di formazione svedese, oggi insignito anche della carica di maestro di cappella dei sovrani baltici. Col suo coro, il “st. Jacob Chamber” di Stoccolma non solo sarà presente, il 16, nella basilica papale di san Francesco di Assisi per l’esecuzione dei pezzi dei finalisti, ma il giorno dopo canterà a Montefalco in uno di quei concerti a cui ci ha abituato a sognare un mondo migliore.
Pescando qua e là nel cartellone si segnala lo spettacolo di fado dal titolo “Lisbona e le cicatrici dell’anima”, lo speculare tango argentino di Buenos Aires del 20. e così sono altre due città.
“Città del dolore” il carcere di Capanne e all’Istituto Opere Pie Donini raggiunte da due concerti dei fiati dell’Orchestra da Camera di Perugia. Due appuntamenti delle Dimore del quartetto, in collaborazione con Amur e il festival Musica con vista. Quartetto Akilone e Quartetto Werther, giovani da sostenere e incoraggiare e chi meglio di chi può? San Niccolò di Sangemini e Villa Valvitiano, due conchiglie che generosamente si apriranno con uno sguardo al futuro di artisti in formazione.
Chiusura il 23 al Morlacchi coi complessi toscani dell’Accademia Chigiana e della Regionale Toscana. Quinta di Beethoven (ahi!) e Requiem in do minore di Cherubini, quello prediletto da Muti. Una proposta “forte”, impattante e impegnativa.