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di Gabriella Mecucci

“Il terremoto elettorale del 25 settembre pone un problema di legittimità alla giunta regionale dell’Umbria. E’ incredibile che se ne parli così poco e che persino l’opposizione non sollevi l’argomento”. Quanto al centrosinistra, “ci sono le condizioni per ripartire da Perugia”. Alberto Stramaccioni, ex dirigente Pci e di tutti i partiti a cui ha dato vita, attualmente storico di professione, in questa intervista esprime giudizi netti sul voto umbro inserito nel contesto nazionale: “ha vinto la destra – dice – che ha la maggioranza in Parlamento, ma non nel paese”.

Il centrosinistra ha perso, perchè?
Prima di entrare nel merito dei risultati elettorali mi faccia dire che la forza dei partiti cambia ormai con una straordinaria rapidità. Accade sia per la mobilità dell’elettorato sia per la tecnalità delle leggi elettorali. Quest’ultime sono fondamentali e hanno prodotto ciò che volevano sconfiggere: volevano impedire la frammentazione delle forze politiche e nella sostanza l’hanno favorita; volevano rendere il sistema più stabile e hanno mancato l’obiettivo. Faccio un esempio: la Lega è stata sconfitta nel voto del 25 settembre, ma al Senato ha solo 11 senatori in meno della super vincitrice Giorgia Meloni, e alla Camera dispone di un centinaio di deputati, decisivi per formare un governo e per farlo funzionare. Una contraddizione evidente. Penso che le leggi elettorali dell’ultimo trentennio – ce ne sono state ben tre – hanno cambiato il sistema più di quanto avrebbe potuto fare una rivoluzione”.

Accettata questa osservazione preliminare, vogliamo iniziare l’analisi dei risultati in Italia e in Umbria?

“Ammesso e subito concesso che il Pd non ha saputo interpretare il senso del Rosatellum e che non ha saputo costruire una coalizione, guardiamo ai dati. Innanzitutto la partecipazione: ha votato il 63 per cento degli italiani. Ci sono stati 4 milioni di votanti in meno rispetto al 2018 e circa due milioni fra schede bianche e nulle. Il centrodestra ha preso il 44-45 per cento. Un ipotetico centrosinistra o campo largo che dir si voglia ha conquistato ben 2 milioni di consensi in più. So bene che non si possono meccanicamente sommare i consensi andati a partiti diversi e non alleati. So che sto facendo un’operazione arbitraria, ma questi numeri però ci raccontano come sia orientata l’opinione pubblica italiana: la maggioranza non è schierata col centrodestra”.

Questo accade in molti paesi democratici. Basti pensare agli Usa dove è accaduto più volte che il Presuidente eletto avesse meno voti del perdente
“Certo. Ma se faccio un’analisi dei risultati elettorali, potrò far notare che l’Italia sarà governata da una forte minoranza, che ha la maggioranza in Parlamento non nel paese? E potrò giudicare questa situazione foriera di instabilità? Detto questo, le forze politiche andrebbero valutate anche per i loro risultati elettorali nel medio – lungo periodo. E se guarda bene ci sono stati negli ultimi 5 anni veri e propri terremoti: i 5Stelle passati da 33 al 15, la Lega dal 17 all’8 con breve permanenza al 34, Fratelli d’Italia dal 4 all’attuale 26. Il partito che appare più continuo nelle sue prestazioni elettorali è il Pd che ormai da anni – fatta eccezione per la puntata al 40 per cento – staziona intorno al 20. Non vorrei esagerare, ma mi sembra si possa affermare che il Pd rappresenti l’elemento di stabilità per il paese. Il primo gigantesco errore della campagna elettorale dei democratici è stato quello di non valorizzare questo dato: il loro senso di responsabilità ha consentito, infatti, sia nella pandemia sia nella guerra, di tenere in piedi l’Italia. Altro che vergognarsi di aver governato e accettare che se ne parli come di una prevaricazione, di una smania di potere per il potere. Senza il Pd dove sarebbe finita l’Italia? Perchè accedere ad una ideologia populista per cui governare è la sentina di tutti i mali? Perchè non combattere questa cultura giornalistese ormai dilagante?”.

Già, perchè?
“Non me lo spiego. Il Pd è un partito del 20 per cento. La Spd ha il 25 e Macron più o meno lo stesso. C’è tanto giornalismo di bassa lega che ha dipinto i democratici come quelli che governano senza vincere, che hanno dimenticato i cedi deboli. E’ iniziata la mitizzazione degli operai, ma guardate che gli operai anche in passato votavano Dc e Msi. E il Pci non è stato mai un partito operaista. A tutti quelli che adesso dicono che i democratici non sono di sinistra, vorrei chiedere: in Italia c’è una cultura di sinistra? E dove sta? In quali pezzi della società si rintraccia? In tutto questo nel Pd affiora chi vuole scioglierlo: vogliono cambiare nome e simbolo. La grande volatilità del voto nasce da ragioni molto serie, che andrebbero analizzate e confrontate poi con la situazione nei territori. Ormai il consenso è fortemente legato a fattori mediatici. Gli apparati ideologici sono scomparsi, la frammentazione sociale è altissima, e il legame col territorio pesa meno rispetto a tanti anni fa, anche se è un fattore che ha ancora una sua importanza. A questo proposito, Il risultato di Fratelli d’Italia non dipende almeno in parte dal fatto che lo ha conservato? A Perugia, ad esempio, Alleanza Nazionale prendeva il 20-21 per cento. Vorrei poi sottolineare il ruolo dei dirigenti politici: chi è segretario del partito deve farlo a tempo pieno e non avere altri importanti incarichi. Infine, c’è il tema della democrazia interna”.

Siamo arrivati all’Umbria, vogliamo parlare del risultato regionale?
“Il dato macroscopico è il crollo della Lega (sotto l’8 per cento) che pone un problema di legittimità democratica alla giunta regionale e alla stessa Donatella Tesei. Nel suo esecutivo non è presente nemmeno un assessore di Fratelli d’Italia che ha superato il 30 per cento. Come è possibile? E’ singolare che nessuno dica niente o quasi su questo spinoso argomento. Anche l’opposizione è stranamente silente. Quanto al Pd, ha perso rispetto al 2018, ma non moltissimo -: intorno ai 25mila consensi – a fronte di un calo significativo dei votanti. A Perugia poi è andato discretamente (21per cento) e Azione-Italia Viva hanno raggiunto il 10,4. Poi ci sono i voti radicali, verdi, Leu e di altri. Insomma se si riuscisse a sommare questi consensi, il centrosinistra raggiungerebbe il 40 per cento. Non è un’impresa impossibile anche perchè c’è una certa voglia di riscatto che sta montando. Arrivare a quel tetto significherebbe impedire al centrodestra di vincere al primo turno. E il secondo- si sa – può riservare molte sorprese sul piano delle alleanze”.

Perugia torna contendibile, come ha già scritto Passaggi Magazine?
“Comunque sia, si andrebbe al ballottaggio. E lì si aprirebbe un’altra storia. Ci vorrebbe però un candidato sindaco adeguato..”

E non una candidata sindaco?
“Certo, perchè no? Una donna andrebbe bene”

E che tipo di candidato occorre?
“Il modello Assisi potrebbe essere un punto di riferimento: una forte personalità che metta in campo una lista civica in grado di intercettare consensi, e un’alleanza col Pd e con altri. Provi a fare un identikit del candidato (o candidata) giusto per Perugia? Ci vuole una figura nuova, fresca, che non riproponga esperienze passate, che sia competente, con un minino di esperienza amministrativa e con una capacità di leadership, che rompa gli steccati e sappia costruire alleanze. Una volta la coalizione sceglieva il candidato, oggi è il candidato che fa la coalizione. Ci vuole dunque una personalità forte che abbia – e questo non è certo secondario – un’idea di Perugia e del suo futuro. Il centrodestra, dopo quasi dieci anni di governo, non è andato aldilà della manutenzione. Perugia è oggi una città in crisi, ha bisogno che vengano messe in campo proposte per uscirne”.

Modello Assisi, dunque?
“Lì è stato realizzato da Stefania Proietti un modello di coalizione che funziona, ma che non è facilmente ripetibile in altri luoghi, ed in particolare a Perugia. E’ sicuro però che per il capoluogo occorra trovare una personalità con una sua forza, in grado di avanzare proposte e di costruire alleanze. Ripeto: in passato la figura del sindaco veniva dopo la coalizione, oggi non è più così: viene prima. Ed io non credo che il modo più efficace per individuarla siano le primarie. Questo metodo coinvolge gruppi e lobby che spesso non comprendono chi sia davvero in grado di costruire un ampio consenso. Se il centrosinistra riuscirà a mettere in campo un candidato giusto, una squadra e proposte serie potrà ripartire proprio da Perugia. E anche a Terni qualcosa si sta muovendo”.
Torniamo alle ragioni della sconfitta della sinistra in Umbria. C’è chi le rintraccia – fra questi l’ex presidente Bruno Bracalente – nella pesante crisi economica che ha colpito la regione. Lei cosa ne pensa?
“L’economia ha sicuramente un peso rilevante. Io penso però che le ragioni siano molteplici. Sia la vittoria che la sconfitta hanno sempre molte madri e molti padri”.

Me li elenchi..
“Innanzitutto c’è stata la delegittimazione di una classe politica vissuta come eternamente al potere. Che fosse giusto o sbagliato, la sua immagine era diventata quella di un ceto inamovibile che governava con clientele e favoritismi. Questo giudizio si era consolidato, almeno in parte, nell’opinione pubblica anche prima che emergesse lo scandalo sanità. Accanto a questo, sono diventate sempre più evidenti le difficoltà dello stato sociale per mancanza di fondi: i servizi, che in passato le giunte rosse avevano mantenuto ad un buon livello di qualità, sono diminuiti e peggiorati. E infine c’è stata una caduta della presenza sul territorio, della capacità organizzativa del partito. Ribaltare questa situazione non è semplice. Occorre probabilmente ripartire dalle amministrazioni locali. Le tre presidenti di Regione degli ultimi decenni si sono formate nei Comuni, facendo il sindaco: da Rita Lorenzetti a Catiuscia Marini sino a Donatella Tesei. Il ruolo della politica si è fortemente ristretto ed è aumentato quello delle amministrazioni. Questo è un dato imprescindibile, ma anche un grave limite. Attenzione, infatti, il Presidente della Regione, non è il sindaco dell’Umbria. E’ qualcosa di più e di diverso”.

Quando le feci un’intervista dopo la bruciante sconfitta alle regionali del 2019, lei mi disse che ci sarebbe voluto molto tempo per ricostruire. E che prima di tutto bisognava che il Pd elaborasse il lutto. Almeno questo lo ha fatto?.
“No, purtroppo no. Non c’è stato nessun luogo dove sono state analizzate approfonditamente le ragioni del crollo del 2019”.