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di Maurizio Tarantino

Credo che dieci anni siano un periodo congruo per esprimere un giudizio complessivo sull’operato di un’amministrazione comunale. E credo anche che, in una città come Perugia, il modo in cui è stata gestita la cultura debba essere valutato con particolare attenzione. Una valutazione (e un’autovalutazione) politica spetterà a chi ha governato la città e a chi spera di tornare a governarla. Tuttavia, avendo avuto un ruolo non secondario nell’ultimo quinquennio della gestione precedente come direttore della Biblioteca Augusta, e avendo continuato anche da lontano a gettare uno sguardo professionale e da cittadino sulla città in cui ho mantenuto la residenza, ritengo di poter favorire un’ottica più grandangolare mettendo a fuoco alcuni dettagli (e poi, come ricordava Aby Warburg, è nei dettagli che si nasconde il buon Dio).
Come vedrà chi vorrà leggere l’articolo fino in fondo, partirò perlopiù da iniziative nate nel decennio precedente, abbandonate e, a quel che mi risulta (ma potrei essermi distratto) non sostituite, nel loro campo, da altre di pari rilievo. E non lo farò soltanto per una ragione stilistica, La metafora fotografica viene opportuna per introdurre il primo dettaglio. Negli ultimi quindici anni molti comuni, anche di medie e piccole dimensioni (Reggio Emilia, Lodi, Cortona, Lucca, Monopoli), hanno trovato nella fotografia un terreno ideale per sviluppare attività culturali con un ottimo rapporto costi/benefici. Due fattori hanno favorito questo fenomeno: la crisi del 2008, che ha ridotto le risorse e la diffusione della fotografia mobile (sono ormai mille miliardi l’anno le fotografie scattate e condivise sui social). Anche Perugia aveva intrapreso questo percorso, con tre iniziative partite tra il 2012 e il 2013: le prime due fortemente sostenute dal Comune, la terza realizzata “in casa”.
Il SocialPhotoFest, lavorando su una nicchia di grande impatto e interesse aveva costruito una realtà riconoscibile (e riconosciuta), con centinaia tra mostre, eventi e workshop. Tank era un progetto ambizioso e multiforme di promozione della cultura fotografica. L’Archivio della memoria condivisa si proponeva di digitalizzare, catalogare, conservare e valorizzare “la memoria nei cassetti” (così il titolo di una fortunata mostra da cui ebbe origine): fotografie, video, documenti, custoditi (e a volte sepolti) nelle case dei cittadini di Perugia. La prima delle due iniziative si è conclusa definitivamente con l’edizione del 2018, per motivi “che sono da rintracciare nelle infinite pieghe del fare cultura in Italia” (come è scritto con molto fair play nel sito ancora attivo); la seconda è stata chiusa nel 2015 e la terza vegeta ormai da anni.
Il secondo dettaglio è quello della promozione della lettura. Anche questa è un’attività sulla quale molti comuni hanno costruito realtà di grande rilievo, spesso coinvolgendo reti bibliotecarie strutturate e dinamiche: non solo Mantova e Pordenone (città con un terzo degli abitanti di Perugia), ma anche Salerno e Gavoi, e persino isolette come Procida e Ventotene. A Perugia nacquero, nel 2011 il Circolo dei lettori e nel 2014 il Festival Encuentro; il primo per diretto impulso del Comune, il secondo col suo totale sostegno economico.
In sinergia con le biblioteche, il Circolo si contraddistinse da un lato per il coinvolgimento attivo dei cittadini, con la scelta e la discussione del “Libro del mese”, dall’altro per una serie di incontri che, nel giro di soli tre anni, portarono in città autori come Marc Augé, Erri De Luca, David Grossmann, Francesco Guccini, Daniel Pennac, Antonio Pennacchi, Wu Ming. Dal 2015 in poi il Circolo ha progressivamente ridotto le sue attività e il livello degli incontri, per chiudere definitivamente nel 2021.
Encuentro ha visto la partecipazione di grandi scrittori di lingua spagnola come Fernando Aramburu, Javier Cercas, Almudena Grandes, Luis Sepúlveda, Enrique Vila-Matas, in dialogo con scrittori, storici, critici, personaggi del cinema e dello sport italiani come Alessandro Barbero, Fabrizio Gifuni, Nicola Lagioia, Neri Marcorè, Giuseppe Saronni. Venuto a mancare totalmente, fin dal 2015, il sostegno economico del Comune, il festival ha proseguito con altre risorse la sua attività, spostandosi però al Trasimeno. Solo negli ultimi anni il Comune ha ripreso, timidamente e parsimoniosamente, a sostenerlo.
Un ruolo importante nella promozione della lettura è stato svolto dal Sistema bibliotecario comunale, in sinergia col Circolo dei lettori e con iniziative proprie. Tra le tante sono da ricordare l’apertura della “Sala Binni”, con presentazioni di saggistica d’alto livello e le “Letture in Augusta” che coinvolgevano l’Università, il Conservatorio, e il teatro di Fontemaggiore, l’inaugurazione degli spazi di “Nati per leggere”, l’avvio del bookcrossing alle fermate del Minimetro, l’attivazione della piattaforma di prestito digitale Media library online, il Bibliobus. Per avere un’idea dei risultati raggiunti basta segnalare che dai 16 eventi di promozione della lettura del 2004 si è passati ai 612 del 2013.
Sotto questo aspetto le biblioteche comunali hanno mostrato nell’ultimo decennio volti contrastanti. Da un lato le cosiddette “decentrate”, con un forte protagonismo della Biblioteca di San Matteo degli Armeni e più recentemente della Biblioteca degli Arconi, hanno visto un fiorire di iniziative, non troppo coordinate tra loro, prevalentemente dedicate ad autori locali, o al mondo dell’infanzia. Dall’altro è parso di notare un ridimensionamento dell’Augusta come polo culturale della città. Ma sulle biblioteche, e sulla loro gestione complessiva occorrerà fare una riflessione specifica.
Le amministrazioni di centrosinistra avevano un punto fermo, da cui vennero fuori un progetto e un’idea. Il punto fermo era che l’Augusta era parte di un “Sistema” e uno dei fondamenti della cultura cittadina, e pertanto doveva avere un’autorevole direzione biblioteconomica e “culturale”.
Il progetto era quello degli Arconi, su cui ho già scritto più volte, e recentemente su questa stessa rivista. L’idea (abbozzata in quegli scritti) aveva anche un suo fascino “spaziale”, con un dinamismo “alto/basso/destra/sinistra” facile da immaginare per chi si metta in cima alla salita delle Prome. Le amministrazioni successive hanno separato, anche nella struttura amministrativa, le biblioteche dall’area della cultura, non hanno più nominato un direttore, hanno stravolto il progetto e abbandonato l’idea.
Sull’idea occorre spendere due parole in più, ritenendola ancora valida e praticabile. Era quella di un’Augusta che, liberata grazie agli Arconi dal peso insostenibile della “socialità”, indicasse, a destra, una “via della cultura alta”, sviluppando il suo ruolo di conservazione e ricerca in una sempre più stretta connessione con le Università e con la Galleria. E a sinistra, una “via della cultura bassa”, diffusa e contemporanea che, partendo dagli Arconi, attraverso gli spazi di Via Sant’Ercolano conducesse fino a Palazzo della Penna e ancora più giù, verso i quartieri della Stazione e i Ponti.
Per diverse ragioni, sintetizzabili in quelle che indussero Manzoni a non spiegare la sua scelta linguistica, non credo di dover aggiungere nulla, oltre alle virgolette, per spiegare la metafora “alto/ basso/destra/sinistra”. Anche perché, avendo cominciato più di quarant’anni fa a studiare quei concetti, quando scoprii Gramsci e Machiavelli, Croce e Gentile, Bachtin e Eco, Furio Jesi e Gennaro Sasso, è una vita che ne scrivo e che li pratico.
Il discorso ci ha condotti inevitabilmente a Palazzo della Penna. Il Centro di cultura contemporanea, punto di riferimento per tante iniziative e progetti citati di sopra, sede di mostre di livello nazionale e motore della rinascita del quartiere, è stato rinominato dalla penultima Amministrazione “Museo civico”. La “restaurazione”, per quanto opinabile, nasceva da una visione, che però è rimasta tale.
Per darle corpo sarebbe stato necessario dotare il Museo di un’autorevole direzione scientifica, che ne pianificasse il riallestimento, redigesse un programma di attività espositive e non solo, attivasse partnership. Tutto ciò sulla base di un piano di sostenibilità economica, costruito dalla direzione in sintonia con l’Amministrazione, che indicasse il fabbisogno di risorse e personale, e i modi in cui reperirli. Il discorso andrebbe ben oltre i limiti di questo articolo, ma è mio parere che questa mancanza sia all’origine della discutibile gestione delle esternalizzazioni, i cui risultati si sono potuti recentemente vedere.
Altri dettagli non mancherebbero, come i tanti spazi non valorizzati: comunali (come San Francesco al prato) o privati (come il Turreno, per il quale Lucio Argano aveva scritto e donato al Comune uno studio di fattibilità), ma ne sceglieremo come ultimo uno non ereditato dalle amministrazioni precedenti.
Anche Perugia 1416 aveva una visione; e anche in questo caso la visione si è impantanata. Tra la via di un serio e sobrio congresso annuale, in collaborazione con l’Università e magari, che so, diretto da Grohmann e in partnership con la Treccani; e la via del pop estremo, con una direzione affidata ai Guarducci e il “metodo Giottoli” delle feste di quartiere, si è scelta la mediocrità (e i costi spropositati) dell’attuale kermesse. “Gli uomini pigliono certe vie del mezzo, che sono dannosissime”, scriveva Machiavelli a proposito di Gianpaolo Baglioni (tanto dannose da fargli perdere la testa). Ma forse, malgrado la sbandierata peruginità, i nostri assessori non hanno letto quel peruginissimo capitolo dei Discorsi (forse perché il loro autore è fiorentino).
Contraddicendo l’inizio di questo articolo, dove dichiaravo di voler procedere per particolari, mi si vorrà perdonare, in conclusione, uno spunto di riflessione più generale sotto forma di auspicio. Che l’Assessorato alla cultura torni ad avere una “politica”, magari anche diversa dal passato, ma capace di tenerne insieme le diverse anime. Che valorizzi i suoi asset, facendoli dialogare “alla pari” con le Università, la Galleria, la Fondazione Perugia, il Teatro Stabile, Il Festival del giornalismo, Umbria Jazz. Che detti (e non subisca) la “linea” al turismo e al sociale. Che sia, insomma, “centrale” nella vita di Perugia.